Cosa ci fanno una dozzina di ragazzotti americani su un’isola greca? Preferirei non saperlo, ma mia figlia adolescente è curiosa e dopo pochi minuti ci tuffiamo in un reality che nei giorni a seguire si rivela tutt’altro che superficiale. Certo, il gioco è incentrato su un soggiorno in una villa lussuosa e su un premio di 200’000 dollari, ma fin da subito il programma si rivela istruttivo, giacché ci mostra le dinamiche di gruppo che si innescano quando bisogna raggiungere un obiettivo: l’importanza delle alleanze e delle strategie, dei tradimenti e degli egoismi. C’è una partecipante, per esempio, che parte alla grande fingendo di allearsi con due tontoloni per poi tradirli a più riprese, mentre quelli manco se ne accorgono. Si muove svelta e deride la sua rivale principale, meno brava di lei nelle finte e nei doppi giochi. Nel giro di poche puntate la sua tattica viene però individuata e la sua corsa si arresta. Dopo diversi colpi di scena, in finale finiscono quattro concorrenti, che devono essere votati dai compagni esclusi. E chi votano gli eliminati? La persona che per tutto il tempo ha dimostrato più degli altri generosità e lealtà. Il gioco premia quindi la bontà, una qualità che sembrava lontana dalla visione godereccia di un gruppo di giovani festaioli.
Può apparire come una banalità, ma il bisogno di tranquillità e fiducia è un fattore che andrebbe tenuto in maggior considerazione anche nelle questioni economiche e politiche, perché ogni nazione ha il diritto di vivere all’insegna della pace, della cooperazione e della giustizia. Chi sceglie la strategia del terrore e dell’usurpazione si allontana da questo ideale e alla fine non può che perdere. Perché quando un’organizzazione come Hamas, che afferma di voler liberare il proprio popolo, compie delle atrocità che sa che daranno avvio a una serie di gravi ripercussioni colpendo il proprio popolo che dice di voler proteggere, ha già perso in partenza. A fine ottobre lo storico Yuval Noah Harari sulle pagine del Tages-Anzeiger afferma, anzi, che se Hamas ha innescato il terrore è proprio perché voleva evitare l’avvio di un processo di pace. E così si capisce come paradossalmente il governo nazionalista e colonialista di Netanyahu faccia il gioco di Hamas e Hamas faccia il gioco di Natanyahu, giacché entrambi vogliono mantenere lo status quo o distruggersi a vicenda. Anche se raggiunti, obiettivi di questo genere, che rifiutano i compromessi per difendere la propria ragione a oltranza, non sono altro che sconfitte perché negano i bisogni primari delle persone.
E allora viene da chiedersi se il successo elettorale dell’Udc in Svizzera, di un partito, cioè, che guarda all’indietro, cercando un ritorno alle origini e una purezza inesistenti, fomentando le paure e le insicurezze create dall’immigrazione e dividendo la popolazione incitando all’intolleranza, non rappresenti una sconfitta per il nostro Paese. All’Udc piace infatti gridare al lupo al lupo, ma poi di soluzioni concrete non ne presenta, finendo per aggrapparsi a immagini idilliache di una Svizzera fiabesca che non servono a nulla e ad abbattere gli unici lupi che riesce a prendere: quelli veri.