I dibattiti

Un’altra Marignano è in arrivo

Sanzioni soft contro gli oligarchi russi: il mondo finanziario svizzero imparerà mai dai propri errori?

Emanuele Stauffer
(Ti-Press)

Sono ormai mesi che la Confederazione è accusata di applicare a malincuore, mostrando un’evidente mancanza di zelo, le sanzioni internazionali contro gli oligarchi russi. L’estero rimarca che 7,5 miliardi di franchi bloccati sono un’inezia rispetto al patrimonio russo gestito in Svizzera. Più consessi, a livello internazionale, si sono costituiti e si stanno muovendo per raccogliere e condividere dati in modo che le sanzioni siano il più effettive possibile (ossia che colpiscano davvero i sostenitori del regime di Putin). Le voci che chiedono alla Svizzera di partecipare attivamente a questo processo si moltiplicano ma il mondo politico, quello finanziario, i rappresentanti dell’economia preferiscono ignorarli, invocando la neutralità, la protezione della sfera privata, la sovranità, la legislazione e, in fin dei conti, l’eccellenza svizzera che garantirebbe l’esemplarità della messa in atto delle misure decretate dal Consiglio federale.

Fondi ebraici, segreto bancario, scambio di informazioni...

Sembra di assistere a un film già visto. Nel 1998 si fece sorda orecchia alle pressioni (i “ricatti”) che arrivavano dagli Stati Uniti per i fondi ebraici, salvo poi pagare 1,8 miliardi per rifarsi una verginità. In quegli anni si preferiva pensare che “il segreto bancario non è negoziabile” come amava ripetere l'allora consigliere federale Kaspar Villiger, senza accorgersi che esso era già anacronistico. Poi arrivò quella grande invenzione dell’euroritenuta, aggirata spudoratamente dalle banche; tanto che, nel 2008, nemmeno la si poté invocare per resistere alle pressioni americane ed europee che invano chiedevano di entrare a far parte di un sistema fiscale armonizzato. Tant’è che il 13 marzo 2009 Hans-Rudolf Merz, successore di Villiger a Palazzo federale, dovette anch’egli alzare bandiera bianca e cedere alle richieste americane, iniziando quella fase di smantellamento del segreto bancario; malamente, solo perché gli Stati terzi avevano fatto capire che non avrebbero più accettato una Svizzera quale rifugio degli averi non dichiarati provenienti da tutto il mondo. Un momento di saggezza poi arrivò, grazie all’aborrita (alle nostre latitudini) Eveline Widmer-Schlumpf che si dimostrò invece una vera statista. Capì che un mondo stava tramontando e, sebbene fra mille esitazioni, portò la Svizzera allo scambio automatico di informazioni, in pochi anni, imponendo questo nuovo mondo a una piazza finanziaria abbacchiata.

Sanzioni sacrosante

Oggi la storia si ripete: no alla collaborazione attiva per stanare i fondi degli oligarchi, perché la Svizzera già sta facendo il suo dovere. Peccato che questa sua sensazione di esemplarità e di superiorità, in passato, abbia provocato disastri. E altrettanto peccato che oggi, fra il divieto di autorizzare la riesportazione di materiale bellico (non capito da nessuno, all’estero), una neutralità che tutela in realtà la violazione del diritto internazionale, dei rapporti con l’Europa che sembrano in un vicolo cieco (dopo la non capita decisione di stralciare la bozza di accordo quadro) e, non da ultimo, il fallimento di un quadro legislativo che avrebbe dovuto impedire un caso Credit Suisse, il mondo politico svizzero non capisca che rifiutare – con arroganza e sufficienza – di contribuire a una messa in atto effettiva di sanzioni sacrosante, stia portando a una nuova Marignano.

Quali forme rivestirà la disfatta, non si sa. Ma la pazienza dell’Europa e degli Stati Uniti, presto o tardi, com'è successo in passato, finirà e, di nuovo, la Svizzera si troverà sul banco degli imputati, perché incapace di capire che gli umori internazionali esigono azioni vere e non quelle che sembrano (anche se non lo sono) mere dichiarazioni d’intenti.