I dibattiti

Neutrali ma venditori di armi

(Ti-Press)

Se fossimo neutrali e al contempo non indifferenti di fronte alle guerre, come dice il Consiglio federale, a mio parere dovremmo forse mostrarlo abbandonando l’idea di avere un esercito armato. Un importante apparato di protezione della popolazione, una buona polizia dei cieli e un buon investimento nel settore della cybersicurezza potrebbero bastare. A me sembra che così saremmo più credibili come Paese del dialogo, della diplomazia, della mediazione ed eviteremmo l’assurda corsa al riarmo che ha contagiato anche la nostra politica federale, con ricadute negative su tutte le altre politiche.

Siccome capisco che molti non sono ancora pronti a fare questo passo, visto che esitiamo ad abbandonare il nostro esercito, almeno dovremmo limitarci a produrre in casa le armi e le munizioni di cui esso ha bisogno, senza venderle ad altri.
Invece no. Vogliamo il panino, neutralità non indifferente, e il soldino, quello delle armi prodotte per noi, ma anche vendute all’estero (redditività oblige), per poi dover scoprire che qualcuno queste armi vorrebbe usarle, donarle, sostituirle, scambiarle con qualcuno che cerca di difendere il proprio Paese occupato, come faremmo noi se fossimo sotto attacco, non solo usarle in innocue, rumorose e inquinanti esercitazioni.

Le armi da guerra hanno la fastidiosa proprietà di finire prima o poi sui campi di battaglia, dove soldati e civili muoiono davvero, mettendo in luce indirettamente la responsabilità di chi le produce. È quindi più che normale che la vendita di armi svizzere all’estero in tempi come quelli odierni abbia molte probabilità di mettere in imbarazzo un Paese come il nostro, venditore di armi, ma formalmente neutrale e non indifferente verso i conflitti.

Chi dice che finché la guerra in Ucraina continuerà sarà solo una carneficina assurda, con migliaia e migliaia di uomini ucraini e russi mandati al massacro, e che bisognerebbe perseguire con forza tutti gli sforzi di pace, ha tutte le ragioni. Ma al punto in cui siamo, l’alternativa di far mancare le armi di difesa agli ucraini mi pare una prospettiva non sostenibile: con quali conseguenze per l’Ucraina? E per l’Europa? E per noi?

Come sostengono alcuni, si poteva forse fare altro o meglio sul piano diplomatico prima che la guerra scoppiasse: forse, ma con le chiacchiere non si rifà la storia, sarebbe già un successo se si riuscisse almeno ad imparare qualcosa per la prossima volta.

Così stando le cose, visto che di armi svizzere all’estero ne circolano già, personalmente non mi scandalizzerei se agli ucraini arrivassero anche delle munizioni o armi prodotte in Svizzera. Le vendiamo a Paesi esteri per difendersi, cosa che gli ucraini stanno appunto facendo, e a me sembra difficile giustificare la loro vendita a scopo difensivo quando la necessità di difendersi non c’è per poi dire di no quando tale necessità si manifesta in maniera impellente.

Personalmente non credo che alla fine di questa guerra l’Ucraina riuscirà a riconquistare tutto il suo territorio; la Crimea, che del resto prima del 1954 era russa, probabilmente rimarrà nei fatti alla Russia, compresa la città e il porto della flotta del Mar Nero di Sebastopoli, ma spero davvero che un ragionevole compromesso territoriale, o almeno un cessate il fuoco su basi solide, possa essere concluso non troppo tardi.

Credo invece che sia necessario che in Svizzera, imparando da quanto successo e uscendo dall’ipocrisia, si prenda da subito l’impegno di andare rapidamente almeno verso un totale divieto di esportazione di armi, le quali verrebbero prodotte in casa solo per la difesa nazionale. Non farlo manterrebbe la Svizzera formalmente neutrale, ma colpevolmente indifferente, perché se si decide di continuare a vendere armi all’estero e al contempo le si nega a chi le chiede per difendersi da un aggressore esterno, si cade inevitabilmente nel cinismo.

Ogni cosa ha il suo prezzo, anche la neutralità, almeno quella con un po’ di sostanza. Per il bla bla bla basta invece anche solo un megafono sgangherato.