Nella sua opera "Della guerra" il barone Von Clausewitz sosteneva che la guerra sia la continuazione della politica con altri mezzi. Intendeva dire che, una volta fissati obiettivi politici, la guerra diventa uno strumento per raggiungerli al pari di altri.
In realtà, se esaminiamo il significato del termine politica, questa affermazione è spudoratamente falsa. La guerra non è la prosecuzione della politica, bensì la sua negazione: dove c’è la guerra la politica è esclusa. Infatti la politica è per definizione l’arte di risolvere i conflitti attraverso il dibattito e un sistema di decisione condiviso, il che esclude categoricamente il ricorso alla violenza.
La neutralità svizzera nasce dopo la battaglia di Marignano (1515) e si configura come rinuncia "perpetua" a valersi dello strumento della guerra offensiva. Un atto coraggioso, visti i tempi, e un atto squisitamente politico. Nato come concetto di neutralità passiva (non partecipazione ai conflitti), con il tempo si trasforma in neutralità attiva (ben prima che la ministra Calmy-Rey lo usasse, cari Udc), quando la Svizzera dichiara la sua disponibilità a mediare situazioni di conflitto internazionale ed effettivamente questo succede in diverse situazioni.
Sulla guerra in Ucraina ho letto di tutto e di più. Si fa una gran confusione tra cause, motivazioni e responsabilità diretta a proposito di questo conflitto.
Per analogia, se prendiamo la Seconda guerra mondiale, un buon testo di storia giustamente elenca e analizza le molteplici cause che hanno portato al conflitto. Tra queste, per non farla lunga, l’umiliazione inflitta alla Germania con la pace di Versailles successiva alla Prima guerra mondiale, quando le potenze vincitrici le hanno sottratto le sue colonie e imposto pesantissime sanzioni. Il 1° settembre 1939 la Germania invade la Polonia. Sinceramente non ho mai letto da nessuna parte che la responsabilità di questo atto sia da imputare alle democrazie occidentali per via delle sanzioni.
Eppure, a proposito della guerra in Ucraina, è proprio questo che ogni tanto mi capita di leggere.
È senz’altro corretto e auspicabile, per comprendere meglio la natura di questo conflitto risalire alle sue cause e indagare sulle motivazioni. Anch’io ritengo che l’allargamento della Nato ad alcuni membri del disciolto Patto di Varsavia sia stato un errore, oppure che l’offerta di Gorbaciov di costruire assieme una casa comune europea sia stata un’occasione mancata.
Questa operazione di scandaglio negli antefatti è senz’altro utile e preziosa se svolta con l’intenzione di restituirci il contesto che aiuta a comprendere meglio l’evento; è operazione perniciosa quando si estrapolano alcuni fatti a danno di altri per giungere a dissolvere la responsabilità in mille rivoli, o addirittura a deviarne il corso per farla giungere persino… a Obama (sic!).
Qualsiasi approfondimento si voglia fare sulle origini non modifica di una virgola un dato di fatto, ossia che il 24 febbraio 2022 la Russia ha invaso l’Ucraina e quindi la responsabilità ultima della guerra è sua e solo sua.
Quanto alle motivazioni, queste sono state addirittura esplicitate da Putin per giustificare quella che lui chiama "operazione militare speciale". A mio parere, di queste motivazioni, alcune sono folli (come la pretesa denazificazione dell’Ucraina), una sola, la volontà di difesa dei civili russofoni e russofili delle repubbliche ribelli del Donbass, soggetti a un permanente stato di guerra a bassa intensità, suscita empatia. Anche ammettendo (senza concederlo) che tutte le motivazioni siano valide, esse non comportano un deterministico ricorso alla guerra per farle valere. Tutt’al più l’uso della forza può essere una prerogativa internazionale.
L’iniziativa dell’Udc con il sostegno dei comunisti "Sì alla neutralità svizzera" afferma nell’argomentario che i cittadini hanno un buon diritto di reagire e non "essere moralmente indifferenti di fronte all’ingiustizia di una guerra d’aggressione", ma la neutralità obbliga le autorità "all’umiltà e alla moderazione". Interpreto: le obbliga a non schierarsi. A questo proposito hanno ragione e torto nello stesso tempo.
Hanno ragione perché al tavolo negoziale la Svizzera neutrale deve disporsi ad ascoltare le ragioni dei contendenti con l’intento, non già di esprimere giudizi (ossia di schierarsi), ma di contribuire a creare quell’esile filo d’intesa che permetta di tessere con il tempo una visione concordata che porta alla pace.
Hanno torto quando interpretano la condanna della guerra e del suo aggressore come uno schierarsi quando secondo loro è necessario mantenere un’equidistanza. Ci si schiera quando ci sono visioni contrapposte, ma qui non ce ne sono, c’è soltanto un dato di fatto, l’aggressione russa all’Ucraina.
Come detto, la neutralità attiva può esplicarsi solo quando le parti in conflitto si dispongono a rinunciare alla guerra e ad affrontare il conflitto trasferendolo su un piano prettamente politico. In assenza di questa disponibilità, la condanna della guerra come strumento sbagliato, orribile e disumano, e di chi assume il ruolo di aggressore sono atti dovuti. Significa in questo caso attendersi, anzitutto dalla Russia che l’ha promossa, un segnale della necessaria disponibilità a negoziare. Questa presa di posizione non solo non è contraria a una politica di neutralità attiva, ma costituisce a mio avviso addirittura la precondizione perché possa esplicarsi nella massima chiarezza ed efficacia.
La pretesa equidistanza, lo stare alla finestra non sono segnali di umiltà e moderazione, e nemmeno aiutano a muovere un passo nella giusta direzione.