La decisione del Partito comunista di appoggiare l’iniziativa popolare dell’Udc per la "salvaguardia della neutralità svizzera" ha scatenato l’irritazione del quotidiano laRegione. In un articolo del 27 dicembre scorso, Lorenzo Erroi accusa i comunisti di sostenere tutti i regimi, di destra e di sinistra, che violano i diritti democratici dei cittadini. I comunisti apparterrebbero insomma alla "sinistra rossobruna" e sarebbero addirittura affetti da "priapismo illiberale". Il termine medico – che indica un disturbo patologico legato al perdurare dell’erezione del pene – si sposa bene con il resto dell’articolo, intitolato "pacco di natale", e pare voler indicare lo stato psicologico che porterebbe i comunisti a sostenere qualsiasi regime contrario allo stato di diritto e alla democrazia.
Vale la pena di rispondere ad accuse del genere? Direi di sì, perché l’articolo di Erroi ha comunque il merito di stimolare, anche negli ambienti di sinistra, il dibattito attorno al tema della neutralità.
Erroi accusa i sostenitori dell’iniziativa Udc di dipingere la neutralità svizzera "con pastelli fiabeschi, come un’Heidi lontana dalle sorti del mondo" e di creare quindi un falso storico che permetterebbe ad affaristi senza scrupoli di continuare a fare "business as usual con certi oligarchi e tiranni". A suo avviso "quella neutralità lì" non è mai esistita e la Svizzera ha sempre dovuto barcamenarsi tra le varie potenze mondiali, non solo per mero spirito di opportunismo ma anche per poter restare fedele ai sani principi che legano il nostro paese all’Occidente.
Se da un lato Erroi ci esorta a uscire da uno stato di "isolazionismo ombelicale", dall’altro ci insegna anche che non siamo mai stati né neutrali, né tantomeno isolati. Dal momento in cui la Svizzera ha sempre dovuto scendere a patti col resto del mondo, tutto ciò che è stato detto e fatto per dipingere il nostro paese come una comunità di pacifici montanari lontani dai problemi del mondo erano solo parole al vento. Poco importa se molti svizzeri si sentono rappresentati da certi valori. Costoro sono soltanto dei poveri sciocchi e il compito della sinistra liberal è quello di svegliarli dalle loro miserabili illusioni.
Seguendo questo ragionamento, verrebbe da chiedersi che cosa sia realmente la Svizzera o cosa dovrebbe diventare. Per molti "intellettuali di sinistra" sembra quasi che il nostro paese debba aderire a una sorta di "internazionale liberale" formata dai paesi del "mondo libero" per combattere le dittature che minacciano lo stato di diritto.
Eppure, avvicinandosi o addirittura aderendo all’Ue e alla Nato, la Svizzera resterebbe veramente fedele ai suoi ideali democratici? Diventerebbe veramente un paese più aperto verso il resto del mondo?
Secondo chi ha lanciato l’iniziativa e chi l’ha sostenuta, abbandonare la neutralità significa l’esatto opposto perché vorrebbe dire rinunciare alla propria sovranità per diventare uno strumento delle potenze occidentali. Poco importa se questi paesi, almeno a parole, si ispirano agli ideali dell’illuminismo e della democrazia liberale: la politica estera dell’occidente ha sempre perseguito degli interessi imperialisti che non possono essere giustificati dal semplice desiderio di difendere o esportare la democrazia. Entrare nella Nato o nell’Ue significa diventare a tutti gli effetti uno strumento di potenze straniere che userebbero il nostro statuto di paese democratico per giustificare le loro azioni. Ciò sarebbe in netto contrasto con i valori cari alle cittadine e ai cittadini svizzeri e comprometterebbe in futuro i rapporti con paesi emergenti i quali, come la Cina, avranno un peso sempre più importante sulla scena internazionale.
Il 17 ottobre scorso, in un articolo di gran lunga più interessante di quello pubblicato il 27 dicembre, Erroi parlava del ruolo della Svizzera nella colonizzazione del Congo, spiegando che anche istituzioni umanitarie come la Croce Rossa presero parte a questa tragica impresa.
Ancora una volta, Erroi denuncia le ambiguità della politica estera elvetica, dimostrando che il nostro statuto di neutralità è servito a nascondere operazioni moralmente ingiustificabili. Tutto vero, tutto giusto, salvo le conclusioni e gli insegnamenti che occorrerebbe trarre da queste esperienze.
Se si scopre che la Svizzera non è un paese di allegri e pacifici montanari, armoniosamente distanti dai problemi del mondo e pronti a soccorrere i più deboli, cosa occorre fare? Rinunciare alla nostra indipendenza politica? Rinunciare a essere svizzeri perché "tanto la Svizzera non è mai esistita"?
Forse trent’anni fa si sarebbe potuto immaginare di rispondere affermativamente a queste domande, quando ancora ci si poteva illudere che la fine della guerra fredda avrebbe permesso di creare un mondo di pace e benessere per tutti, anche grazie a istituzioni come l’Ue o la Nato.
Eppure, dopo trent’anni di politiche neoliberali dell’Ue e di guerre portate avanti dalla Nato, la sinistra dovrebbe mobilitarsi in favore di una Svizzera neutrale e libera di collaborare con tutti i paesi. Occorre chiedere di diventare ciò che abbiamo sempre preteso di essere: un paese aperto all’insieme della comunità internazionale e non solo verso occidente. Un paese che, grazie ai suoi buoni uffici, contribuisca ad alleviare le sofferenze di questo mondo. L’iniziativa Udc muove un passo verso tale direzione ma Erroi preferisce scrivere che per Natale, al posto di proposte del genere, avrebbe preferito ricevere un Pony. Se fossi Babbo Natale, gli regalerei un bel cavallo da guerra con tanto di armatura. Così facendo, darei a Erroi la soddisfazione di assomigliare agli eroi medievali che andavano in Terrasanta a convertire gli infedeli.
Chi sostiene l’iniziativa per la neutralità, invece, a Natale chiede una cosa sola: la pace!