Secondo il vocabolario italiano Treccani, il significato etimologico del sostantivo "casamicciola" è "rovina, disordine, gran confusione". Casamicciola è anche il nome di una località dell’isola di Ischia. Un nome che in questi giorni evoca disastri naturali, quali alluvioni, smottamenti, frane, morte. Presumibilmente, la località fu chiamata Casamicciola proprio perché aveva la tendenza ai disastri naturali, terremoti compresi.
Forse per richiamare l’attenzione sulle terme e le bellezze naturali, e dimenticare i disastri passati e futuri, il nome della località è stato cambiato nel 1956 da "Casamicciola" a "Casamicciola Terme". Terme famose che, insieme ai paesaggi e al mare, fanno la fortuna turistica dell’isola di Ischia. Ma la natura, anche se comprende un costante pericolo idrogeologico, accentuato in caso di forti piogge, non può e non deve essere dimenticata. E si deve tener conto del fatto che essa si manifesta, a volte, a distanza di grandi intervalli temporali.
Il 28 luglio 1883 si scatenò un violento terremoto, con epicentro a Casamicciola, provocando la morte di 2’313 persone. Tra le vittime vi furono tutti i familiari del famoso filosofo Benedetto Croce, che stavano trascorrendo le vacanze a Casamicciola: il padre Pasquale Croce, la madre Luisa, la sorella Maria.
Venendo ai nostri giorni, alcuni abitanti – presumibilmente rassicurati e incoraggiati da sindaci, personaggi politici, notabili locali, impresari edili ecc. – si sono insediati nei punti più pericolosi. Ciò che contava era scongiurare, aggirare gli "intralci" edilizi, quali il divieto di edificare e l’obbligo di demolire: atti "dovuti" da parte delle autorità competenti nei punti pericolosi. Invece di adottare i provvedimenti coercitivi di loro competenza, necessari per la tutela dell’incolumità pubblica, si è fatto generoso ricorso a "condoni" e "sanatorie", al fine di consentire l’edificazione laddove avrebbe dovuto essere vietata, o – se esistente – eliminata, per mezzo dell’ordine di demolizione o della dichiarazione di inabitabilità . Si sarebbe trattato, da parte delle autorità competenti, di assumere le proprie responsabilità e applicare le leggi vigenti, di imporre e vietare. Le autorità esistono, non soltanto per questo, ma anche per questo: per garantire la sicurezza pubblica.
Ma la "filosofia" popolare segue un’altra logica, esplicitata in una celebre canzone napoletana: "Non vale chiù niente ’o passato a penzà / basta che ce stà o’ sole / ca c’è rimasto o’ mare / chi ha avuto ha avuto ha avuto / chi ha dato ha dato ha dato / scurdammoce o’ passato / simm’ è Napule paisà... pigliammo o’ minuto / che sta pe’ passà" (il "carpe diem" di Orazio!).
Alla luce di questa filosofia si giustifica tutto: sciagure, disastri, ingiustizie, prepotenze, disparità, favoritismi e quant’altro. Perché mai si dovrebbe rinunciare a costruire (e abitare) nella zona più bella, in alto sulla collina, alle falde del monte sovrastante, dal quale nei giorni scorsi è sceso il diluvio di fango? "I terremoti non avvengono più!", "ma ce n’è stato uno nel 2017!"; "e che sarà mai! Ha fatto solo due morti!".
In fondo, questa ostinazione a costruire e abitare dove per legge e per buon senso non si dovrebbe fare, esprime la tendenza a dimenticare e aggirare obblighi e divieti, approfittando di "condoni" e "sanatorie", a far valere l’astuzia.
Di fatto, questa logica, in qualsiasi campo venga applicata, porta facilmente al disastro.