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Spesa pubblica in Ticino

Se state riflettendo su cosa votare il prossimo 15 maggio sulla proposta di freno alla spesa pubblica non lasciatevi ammaliare dagli slogan. La verità è che spendiamo, per mantenere il tenore di vita del cantone, più di quello che incassiamo. Nel 2022 le imposte che pagheremo non basteranno a pagare gli stipendi dell’Amministrazione pubblica. Sono cifre facilmente verificabili a chiunque sfogli i conti dello Stato. Il solo parlare di spesa pubblica ha diviso i fronti politici ed ognuno presenta convinto, statistiche, analisi ideologiche e approfondimenti che potrebbero stordire chiunque. Per questo mi limiterò a segnalare solo un secondo esempio: la spesa pubblica è passata da 2,8 miliardi di franchi nel 2010 a quasi 4,2 miliardi a preventivo 2022, con una proiezione a circa 4,3 miliardi nel 2025. Si potrebbe eccepire che anche i ricavi sono cresciuti. Vero, ma i ricavi però nel 2010 pareggiavano più o meno la spesa, oggi viaggiamo ad un ritmo di 100-150 milioni di differenza, che ogni anno vanno ad accumularsi al debito pubblico, ossia quello non coperto da beni patrimoniali, ad oggi di 2 miliardi (2mila milioni). L’unica soluzione percorribile per coprire questo costante aggravio è – per chi si oppone al decreto – l’aumento delle imposte. Considerando la posizione del Ticino nella classifica intercantonale dell’attrattività fiscale mi chiedo se davvero sia la soluzione ideale. La votazione del prossimo 15 maggio ci offre, un po’ a sorpresa, una soluzione diversa. Una serie di misure per contenere la spesa pubblica senza riversare oneri sui Comuni e senza tagliare prestazioni o servizi. Non si tratta di toccare le prestazioni acquisite in quello che a tutti gli effetti è il cantone più sociale della Svizzera. Si vuole mettere un freno all’evoluzione negativa tra costi e ricavi. Potrebbe essere l’occasione d’oro affinché ci si chini seriamente sul vero problema, chiedendosi se tutti i servizi dello Stato siano davvero necessari e se sia normale che una volta creato un servizio, magari per un’esigenza reale, lo stesso resti intoccabile. Non ho mai pensato che lo Stato sia un fardello o che i dipendenti pubblici siano dei fannulloni, ma sono convinto che lo Stato debba avere i mezzi finanziari ed umani per garantire i servizi che il privato non è in grado di fornire e nei momenti straordinari, come la pandemia del recente passato, possa attingere alle riserve generate. Se non torniamo a generare riserve, ma continuiamo a spendere più di quanto incassiamo non saremo in grado di rispondere alle sfide sociali ed economiche che ci attendono a breve.

Le aziende chiedono condizioni quadro competitive per poter sopravvivere ai due anni di pandemia e alle conseguenze che la recente guerra sta generando sui mercati. E con "sopravvivere" intendo garantire posti di lavoro e, in seguito, generare nuovo indotto per lo Stato. Se volete uno Stato forte, nei momenti straordinari, allora il 15 maggio votate Sì.