Occorre domandarsi se la ‘giusta causa’ per combattere una guerra non conduca a conseguenze peggiori del male combattuto
Quasi tutti desidereremmo la pace e quasi nessuno vorrebbe mai che ci fosse una guerra. Esiste però un conflitto tragico tra pace e giustizia: la pace non per forza è sempre giusta, mentre talvolta la guerra, in certe situazioni e in determinati contesti, potrebbe apparirci come giusta o perlomeno giustificabile.
Anche Putin, dal suo punto di vista, potrebbe desiderare e volere la pace, la sua "pace imperiale". L’attuale governo ucraino, eletto democraticamente, avrebbe potuto cedere il potere a un nuovo governo dittatoriale imposto e voluto dalla Russia senza opporre alcuna forma di resistenza. Il cambio di regime sarebbe così potuto avvenire, idealmente, senza spargimento di sangue, in nome di una certa visione della pace, di una "pace a tutti i costi".
D’altra parte, la risposta armata da parte della nazione ucraina non è forse moralmente e giuridicamente legittima in quanto guerra di difesa della sua sovranità territoriale e di resistenza nei confronti dell’invasore?
Inoltre, il sostegno morale, politico, economico e militare da parte dell’Occidente all’Ucraina non intende forse essere anche un tentativo di bloccare sul nascere qualsiasi volontà d’espansione imperiale da parte di una potenza dittatoriale e nazionalista che nega i principi del diritto internazionale? La pace non va, in certi momenti, difesa con le armi facendo e sostenendo una guerra?
Per provare a comprendere la complessa relazione, da un punto di vista etico e politico, tra pace e giustizia, tra pacifismo e guerra giusta, può essere utile ricorrere al modello interpretativo del filosofo della morale e della politica Michael Walzer. Secondo l’autore americano, l’analisi della giustificabilità o meno di una guerra può essere suddivisa in tre momenti: lo "jus ad bellum", le cause per andare in guerra; lo "jus in bello", i metodi e i mezzi con i quali la guerra viene combattuta; lo "jus post bellum", l’exit strategy, ossia le condizioni di pace e giustizia al termine della guerra.
Per quanto riguarda lo "jus ad bellum", se non si crede alla "pace imperiale" desiderata da Putin, allora la violazione della sovranità territoriale ucraina e la rispettiva guerra d’aggressione e d’invasione russa non possono avere alcun tipo di giustificazione e vanno condannate senza se e senza ma. Inoltre, se non si crede alla "pace a tutti i costi", ma a valori quali la libertà, la democrazia e l’autodeterminazione dei popoli, allora il diritto del popolo ucraino alla legittima difesa e alla guerra di resistenza ci può apparire legittimo e giustificabile.
Non vi sono però solo le "giuste cause" per combattere una guerra e per sostenere, da un punto di vista morale, politico, economico e militare una delle due parti in conflitto. Ciò di cui spesso ci si dimentica quando si giustifica una ""guerra giusta", o che si preferisce non vedere, sono le conseguenze reali della guerra, come il conflitto verrà combattuto, qual è il suo possibile scopo finale e come si intende porvi termine e fare la pace.
Per riprendere il pensiero di Max Weber, non esiste solo l’etica della convinzione e dei principi, ma anche l’etica della responsabilità nei confronti delle conseguenze dell’applicazione dei propri principi ideali e delle proprie convinzioni nella realtà. Chi sostiene il pacifismo dovrebbe così prendersi la responsabilità di scendere a patti, o perlomeno di sedersi al tavolo della trattativa, con l’aggressore, cercando di porre termine al conflitto il prima possibile, e questo non perché si giustifica l’intervento dell’invasore, ma per ridurre il più possibile le sofferenze, le vittime e le tragedie reali che la guerra porta con sé.
D’altra parte, chi continua a sostenere e giustificare la guerra di difesa e di resistenza dell’Ucraina dovrebbe prendersi anche lui le sue responsabilità. In nome dei principi della libertà, della democrazia e dell’autodeterminazione dei popoli quante sofferenze, vittime e tragedie reali è disposto ad accettare?
Idealmente si può continuare a sostenere che sia Putin la causa unica delle tragedie della guerra, ma realisticamente come ci poniamo di fronte a una dittatura che per raggiungere i suoi scopi pare ben disposta a mietere vittime civili e a commettere crimini di guerra infischiandosene del diritto internazionale umanitario? Crediamo che a un certo punto possa essere giustificato un "intervento umanitario" da parte degli eserciti occidentali per provare a bloccare i massacri? Con quali conseguenze? O sceglieremo di stare a guardare dopo avere sostenuto a oltranza la causa ideale di una "guerra giusta"?
Bisognerebbe infine ancora domandarsi quali siano i possibili scopi finali della guerra e come si intenda prima o poi fare la pace. Se lo scopo finale volesse essere la sconfitta di Putin sul campo di battaglia, allora bisognerebbe chiedersi se ciò possa realisticamente avvenire lasciando combattere solo gli ucraini. Non si rischia in questo caso di creare un circolo infernale di violenza senza fine? O di arrivare prima o poi alla resa incondizionata dell’Ucraina?
O si è forse disposti, per difendere i nostri valori di libertà e democrazia, a estendere il conflitto al di fuori dell’Ucraina dando avvio, in nome della nostra etica dei principi e di una lotta del "Bene" contro il "Male", a una possibile Terza guerra mondiale contro una potenza nucleare, in mano a un dittatore che non sappiamo fin dove è disposto a spingersi? Quanto male e distruzione siamo disposti ad accettare in nome della guerra per il "nostro Bene"? Il fine, sempre che sia raggiungibile, giustifica veramente i mezzi?
Un pacifismo critico e realista, che non ha nulla a che fare con la rappresentazione dei pacifisti come "anime belle" che non avrebbero voglia di "sporcarsi le mani", si pone continuamente la domanda se la "giusta causa" per combattere una guerra non conduca a conseguenze reali che rischiano di essere ben peggiori del male contro il quale si è voluto scendere in battaglia.
Questo non significa, in certe situazioni e come ultima ratio, non essere disposti a sostenere la resistenza contro un aggressore e un invasore. Lo scopo finale e principale, però, dovrebbe quasi sempre essere quello di promuovere e sostenere le trattative per la pace, cercando una mediazione realistica tra le parti. La pace non la si fa con gli amici, ma sedendosi a un tavolo con i nemici, ascoltando le loro ragioni e argomentazioni, anche se ci possono apparire e sono profondamente sbagliate, nella speranza che la pace che ne consegue possa essere la più giusta possibile, o il minore dei mali che possiamo realisticamente sperare di ottenere.