Ho partecipato settimana scorsa a una giornata di studio dedicata al ruolo dell’insegnante, organizzata dal Dipartimento formazione e apprendimento della Supsi. Peccato che moltissimi docenti non abbiano potuto prendervi parte, visto che erano impegnati nel loro lavoro quotidiano. Auspico quindi che il convegno, o parte di esso, venga riproposto all’infuori dell’orario scolastico, affinché i protagonisti delle riflessioni possano realmente beneficiarne.
Come tutte le professioni, anche quella di docente ha subito profondi cambiamenti. Rispetto al passato, per varie cause, la figura del maestro ha perso la sua rilevanza all’interno della comunità. Questa credibilità a livello sociale dev’essere riconquistata: è quindi importante che il mondo della scuola possa tornare a far sentire la propria voce con competenza e autorevolezza, anche pubblicamente.
I relatori intervenuti al convegno hanno fornito, dai loro privilegiati punti di osservazione, interessanti spunti di riflessione. La filosofa Francesca Rigotti e il professor Davide Parmigiani, ad esempio, hanno giustamente criticato il fatto che al giorno d’oggi a scuola si parla tanto di competenze e troppo poco di conoscenze: è una tendenza che va combattuta e riequilibrata, al fine di riscoprire la centralità dei contenuti. In caso contrario assisteremo gradualmente a un livellamento inaccettabile verso il basso, denunciato anche dallo scrittore e docente Giancarlo Visitilli.
A scuola, come nella vita, occorre continuamente alzare l’asticella dell’apprendimento e fissarsi sempre nuovi obiettivi. Il ruolo degli educatori in generale e naturalmente della famiglia sono determinanti. I professori Omar Gianora e Fabio Camponovo, proprio in questo senso, hanno sottolineato l’importanza per i docenti di agire con piacere e passione in aula: sono, questi, atteggiamenti essenziali, che vanno ribaditi perché costituiscono l’essenza dell’insegnamento. Certo: il maestro deve riuscire a trasmettere il suo sapere suscitando entusiasmo e sete di apprendimento. Questo "contagio emotivo" – immerso in un contesto relazionale privilegiato e autentico – favorisce l’ampliamento delle risorse cognitive, che predispongono l’apertura di pensiero, la creatività e la resilienza. Ma nulla ci viene regalato, giustamente; come scrive Angela Moè nel suo libro "Il piacere di imparare e di insegnare", passione ha la stessa etimologia di pazienza: "Entrambe richiedono disciplina e fatica, cioè impegno verso obiettivi ritenuti validi per sé", ma inseriti in un contesto più generale, collettivo. Non sempre, a dire il vero e per svariati motivi, le condizioni in cui operano i docenti risultano favorevoli. La politica e il Dipartimento di riferimento devono occuparsi di ciò, ad esempio sviluppando con il mondo della scuola un dialogo più costruttivo e una migliore capacità di ascolto: spesso ciò non avviene, come nel recente dibattito sulla questione dei livelli (in cui molte criticità esposte dai professionisti non sono state adeguatamente prese in considerazione, anche per un agire precipitoso e incompleto).
Il compito della scuola, in fondo, è mettere gli allievi nella condizione di apprendere le variegate competenze per affrontare la vita e valorizzare le loro diverse forme di intelligenza. Se vogliamo che diventi davvero "palestra di vita e di cultura", dobbiamo stimolare continuamente i ragazzi e fare in modo che si sentano coinvolti in un contesto educativo fatto di diritti ma anche di doveri altrettanto importanti. Ricordandoci il monito del filosofo Umberto Galimberti, solo apparentemente provocatorio: "Se una persona non è empatica e coinvolgente, non può insegnare".