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‘Fake news’ e ‘mass media’

Ho letto, come sempre, con interesse e piacere l’articolo dell’amico Tito Tettamanti, apparso sul ‘Corriere del Ticino’ il 14 gennaio scorso relativo alle deviazioni dei “mass media”. Lo condivido, salvo su un punto. Ecco perché.

Da che mondo è mondo, l’uomo convive con la bugia più o meno grande. Fatalmente, perché che cosa è la verità? “È il sentimento del vero non la verità oggettiva. Il prete che predica non insegna la verità, ma quello che crede essere la verità”, spiega l’avv. Jean Denis Bredin in “Convaincre” (Convincere) e il devoto Jean Guitton, famoso filosofo e medievalista, aggiunge: “Dopo venti secoli di esperienze durante i quali tutte le soluzioni dei problemi supremi sono state proposte, senza che nessuna si sia imposta, la tentazione è grande di ripetere con Protagora, Pilato e Pirandello, ‘a ognuno la sua verità’”, una verità che può essere anche una santa bugia per raggiungere uno scopo ritenuto onorevole.

“Est modus in rebus” però, ossia c’è un limite a tutto e questo limite le “fake news” lo hanno abbondantemente e pericolosamente oltrepassato. Cosa sono infatti le “fake news”? Nelle Democrazie (le dittature non hanno problemi, aboliscono semplicemente la Libertà di Stampa), sono la menzogna eretta a sistema: la “post verità”, grazie ai mezzi di diffusione; al continuo susseguirsi di informazioni, vere e non vere, che riducono il tempo necessario per verificare per ognuna di esse le fonti; alla spettacolarità; all’emotività; alle convinzioni personali; alla sistematica relativizzazione dei fatti; alla notabilità di chi li ha divulgati; alle circostanze di tempo e di luogo in cui si sono prodotti e diffusi; al fatto che si sono prodotti, ma che avrebbero potuto non prodursi o prodursi in modo diverso o con altre conseguenze. Sicché le opinioni contano più dei fatti, per cui le notizie tendono non solo, a relativizzarli, ma addirittura a sostituirli, influenzando in modo determinante l’opinione pubblica. La campagna elettorale di Donald Trump nel 2016; l’attuale suo atteggiamento; la campagna relativa alla “Brexit” e le 19 bugie della Le Pen nel dibattito televisivo con Macron nel 2017, sono emblematici. E non è tutto, perché questa anarchia ha fatto sì che ognuno dica la sua, convinto di essere nel giusto: il paziente ne sa più del medico sulle cause della sua malattia e sulla medicina prescrittagli; l’allievo dubita del maestro; il cittadino non crede più all’Autorità e qualsiasi decisione è soggetta a cauzione. Quindi il binomio indissolubile “autorità e responsabilità” pesa sempre meno e conta chi parla più forte e dice e fa quello che si desidera sentir dire e che venga fatto: il regno delle “fake news”, insomma, mettendo a repentaglio le Istituzioni democratiche, anche nelle Democrazie tradizionalmente più vecchie e radicate. La prova? Eccola, clamorosa: l’attuale atteggiamento dei Repubblicani negli Usa (avvalendosi della tesi “trumpista” dell’elezione rubata, hanno indotto due terzi del loro elettorato a credere che Joe Biden è un Presidente illegittimo, benché tutti i numerosi tribunali aditi, composti in buona parte da giudici nominati dallo stesso Trump, abbiano accertato la regolarità dello scrutinio).

Quindi di fronte alle “fake news”, non si può né comparare né arzigogolare, occorre denunciare e condannare. Ma chi può arginare questa mortifera calamità della Libertà? Il Legislativo? No, poiché può solo legiferare e una legge non può influire sulle mentalità, a meno, per essere efficace, di violare la Libertà; l’Esecutivo? L’esperienza insegna che cade in una zelante censura, sfociante, presto o tardi, pure nella violazione della Libertà; il Giudiziario allora? Nemmeno, perché può intervenire solo se vi è un reato palese, mentre il male è sottile, è un oppio che si insinua e dilaga in modo occulto nella mentalità collettiva, fatto già rilevato dal filosofo Gustave Le Bon (1841-1931) nel famoso trattato “Lo spirito delle folle”.

Ne segue che solo il Popolo può entrare in considerazione, perché, come la vita umana, nella sua componente sociale, esposta a costanti disordini, racchiude in sé la capacità di riequilibrio. Però il Popolo è inorganico, per cui, in questo ambito, può essere rappresentato solo dalla Stampa, quale “sua sentinella”, per usare la famosa espressione del filosofo La Rochefoucauld e la sua efficacia è attestata da innumerevoli esempi: senza “L’Aurore” e i suoi collaboratori capeggiati dal Zola e Clémenceau non ci sarebbe stato l’affare Dreyfus; parimenti senza il “Washington Post” e i suoi reporter Bernstein e Woodward non ci sarebbe stato il “Watergate”; più recentemente, è merito della Stampa se si è potuta dimostrare la pretestuosità delle ragioni addotte dagli Usa e della Gran Bretagna per invadere l’Iraq. E non è tutto, perché la Stampa “vigila” anche sui tre Poteri dello Stato (Legislativo, Esecutivo e Giudiziario). Lo attesta l’ipersensibilità dei loro membri quando il loro comportamento viene censurato dai mass media. Quindi la Stampa, di fatto, ha assunto, per la natura stessa delle cose, una funzione istituzionale irrinunciabile, senza contare la creatività dello scontro delle opinioni divergenti: la dialettica. Di conseguenza lo Stato, di fronte alle attuali gravi difficoltà che incontra questo “Quarto Potere”, non può guardare dall’altra parte.

Evidentemente, anche la Stampa può deviare: penso al “giornalismo d’opinione" aggressivo e ai cosiddetti “giornalisti investigatori” in cerca solo di notorietà o animati da profondi rancori: lo “Schweinsjournalismus” (il giornalismo maiale), secondo l’espressione tedesca. Però l’offeso può sporgere querela penale o far uso del “diritto di risposta”, sancito dagli art. 28 e seguenti del Codice civile e, soprattutto, gli altri mass media possono sconfessare, anche chi è “ossequiente” nei confronti del Potere, come, di tanto in tanto, fa l’amico. Quindi, guai al monopolio della Stampa. Quindi, ben venga la legge “aiutare i media” voluta dalla Consigliera federale Simonetta Sommaruga. Quindi, su questo punto, non sono d’accordo con l’amico.