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Libertà certo, ma quale?

La libertà non è star sopra un albero, non è neanche avere un’opinione. La libertà non è uno spazio libero, libertà è partecipazione. Così nel ’72 Gaber e Luporini scrivevano uno dei testi più significativi del cantautorato italiano: “la libertà”. Una canzone, che si confronta, con quella severa leggerezza propria a Gaber, sul tema eterno della libertà. Sono anni critici per l’Italia, con lo stato assediato dalla deriva terroristica che radicalizzerà per sempre, attraverso un’esclusiva lettura ideologica del mondo, la sua politica. Gaber uomo di sinistra certo, e che senza dubbio partecipava a una visione altra per il suo paese, ma che quale artista e intellettuale, ben riusciva a resistere alla deriva di molti, troppi, che allora scivolarono in una lettura contorta e solo banalmente ideologica del proprio tempo. Ma dov’è finita questa lezione? Lezione per quella libertà verso cui senza dubbio tutti non possiamo che tendere? Una libertà che appunto però, ed è “una canzonetta” a ricordarcelo con disarmante profondità, non significa affatto stare sopra un albero, lontani e isolati dalla società e dai suoi problemi. Una libertà che non ha a che fare con il farsi i fatti propri, ma che dobbiamo immaginarci tale e riempirsi di significato solo se spesa nei valori e nel bene comunitario. Quella libertà appunto partecipativa, in grado di resistere alla deriva individualistica. Allora ecco come oggi, in questa lunga agonia pandemica, spesso, troppo spesso, abbiamo sentito avvalersi di questo termine per rivendicare, il “sacrosanto diritto” di non sottoporsi al vaccino. Una scelta, checché se ne dica, di fatto individualista ed egoista. Perché questa è, e sarà sempre, una semplice libertà à la carte. Una lettura miope e distorta di libertà, e che purtroppo è stata indirettamente avallata, da una politica federale in grande difficoltà nel decidere. Una politica incatenata a estremi esercizi di equilibrismo, in cui il mito del compromesso è stato perpetrato a oltranza, e che ci ha consegnato una Svizzera che ha messo in luce tutti i limiti di un federalismo decisamente poco partecipativo. Un approccio che abbiamo imparato a conoscere in questi due anni di emergenza sanitaria, un approccio molto simile al proliferare stucchevole di un’attitudine orientata, per debolezza, a un politically correct che sta permeando una società così bulimica da permettersi, anche, di discutere di asterischi di genere, o di proporre vademecum per spiegarci come sarebbe meglio evitare di augurare buon Natale. Insomma, non so voi, mai io mi tengo stretta la lezione gaberiana, perché libertà è decisamente partecipazione, è contribuire al bene collettivo responsabilmente, affinché la libertà si riempia di valore profondo. Perché non si tratta affatto di fare ciò che si vuole e, nemmeno, di decidere a metà, lasciando sempre opzioni aperte, perché privi del coraggio di decidere.