Sono scene terrificanti quelle che gli organi d’informazione ci offrono sulla situazione dei profughi ai confini tra Bielorussia e Polonia. Centinaia e centinaia di bambini, donne e uomini ammassati contro invalicabili muri di filo spinato, al freddo, senza cibo, in situazioni assolutamente disumane. Dall’altra parte altrettante centinaia di soldati che impediscono loro di passare. Sono sofferenze immani, dunque, per chi ha lasciato tutto con la speranza di trovare aiuto, accoglienza, solidarietà.
E non meno terrificanti sono le scene delle carrette del mare che solcano il Mediterraneo, dei salvataggi in extremis fatti da coraggiosi soccorritori, delle navi cariche di disperati che attendono da tempo di poter sbarcare in un porto sicuro. Quelli che ci riescono sono confrontati sì con politici ostili e razzisti ma anche, per fortuna loro, con gente solidale che sa vedere in quei poveracci fratelli da aiutare. Nonostante, occorre dirlo, nei luoghi di sbarco e soprattutto sull’isola di Lampedusa ci si scontri con situazioni estremamente difficili. I centri di accoglienza scoppiano sommersi da una quantità di profughi assolutamente superiore al numero che potrebbero ospitare. Secondo l’Ispi (Istituto per gli studi di politica internazionale) le notizie che arrivano dal Mediterraneo centrale lo fanno sempre più assomigliare ad una “zona di guerra”. È un’affermazione forte. Ma più che giustificata se appena si considera che gli sbarchi sono quintuplicati, gli attacchi e i tentativi di speronamento da parte della guardia costiera libica, le infinite peripezie con le quali i profughi sono confrontati. E, soprattutto, le migliaia di vittime annegate in questi anni. Solo nella prima metà di quest’anno i morti in mare sono stati almeno 1’146! (fonte: Organizzazione mondiale per le migrazioni).
Difficoltà inimmaginabili per chi tenta la via del mare e difficoltà altrettanto terrificanti per chi cerca di fuggire dalla Bielorussia. Intanto i politici discutono. Lukashenko per la Bielorussia, Vladimir Putin per la Russia, Andrzej Duda per la Polonia si rinfacciano le colpe, minacciano a destra e a sinistra e nessuno pare occuparsi di chi soffre pene indicibili. Vittime, questi ultimi, di confronti politici e voglia di potere. Potere per gli altri, ovviamente. Perché loro di questi sporchi giochi sono solo vittime innocenti. E l’Europa? Sta a guardare. Anzi, peggio, perché non muove un dito per cercare di risolvere una situazione che si fa di giorno in giorno più insostenibile. E addirittura è pronta a respingere chi dovesse riuscire a passare il confine! Ma dell’Europa – seppure non in quella “unita” ma almeno geograficamente – fa parte anche la Svizzera.
Sono ormai anni che si discute attorno ad un progetto di ripartizione dei profughi tra le varie nazioni. Ma al di là delle chiacchiere non si è mai arrivati ad una soluzione.
Allora ci chiediamo: e se fosse la Svizzera a rompere il ghiaccio dell’indifferenza e a offrire il buon esempio? Certo darebbe una nuova prova della sua tradizione di aiuto e di accoglienza. Ma per farlo occorre aprirsi ad uno spirito di fratellanza, di aiuto, di rispetto dell’Uomo che in troppe occasioni sembra mancare. Complici sicuramente i calcoli partitici di chi ha paura di scontrarsi con i contrari che certo non mancherebbero di far sentire la loro voce antistraniera e, sovente, razzista.
E si appellano a mille scuse che ormai si sono malauguratamente insinuate in troppe menti. Prima i nostri, pensiamo ai nostri vecchi e ai giovani che non trovano lavoro, pensiamo a difendere la nostra cristianità e le nostre tradizioni da un Islam che avanza… Sono problemi veri, certamente. Ma la cui soluzione non passa attraverso chiusure che si oppongono ad una vera solidarietà. E che, tutto sommato, nascondono un profondo egoismo quando non addirittura, in certi casi almeno, un altrettanto profondo razzismo. Mancano gli spazi, mancano le strutture adeguate? No di certo. Manca semmai la volontà di volerli trovare. E, quando venissero trovati, occorrerebbe la disponibilità della gente ad accettare i nuovi ospiti. Nel nome di quella solidarietà e fraternità cui abbiamo accennato.
A Losone, ad esempio, lo spazio c’era. Una intera caserma (ora vuota o quasi) che per qualche tempo ospitò un bel numero di rifugiati. Ma poi la popolazione ha detto basta, sobillata forse anche da chi non voleva che i profughi si sedessero sulle panchine pubbliche o sui muretti di cinta (sic). Paura magari che lasciassero l’impronta della loro pelle scura o che le infettassero?
Chissà se di fronte alle nuove drammatiche situazioni la popolazione direbbe ancora no. Se così fosse ci sarebbe di che preoccuparsi. E non solo per Losone, ovviamente. Ma per tutti coloro che per egoismo chiuderebbero gli occhi su una tragedia tanto sconvolgente.