Nel 2020, le università svizzere e i politecnici federali hanno rilasciato poco più di 34’500 titoli accademici di cui 5’000 per le scienze economiche (2’379 a livello di Bachelor, 2’334 a livello di Master e 236 dottorati). A questi vanno aggiunti i titoli conseguiti nelle scuole universitarie professionali e in altri istituti ugualmente attivi nella formazione in ambito economico. A parte la constatazione che la disciplina economica attira ancora più di un giovane, è l’attività e il ruolo dell’economista che ci interessano e che attendono questi neolaureati.
Le discipline scientifiche si distinguono per l’oggetto studiato e all’economista spetta il sistema economico, quell’insieme di soggetti, di attività e di istituzioni che contribuiscono alla produzione di beni e servizi destinata, attraverso il loro consumo, ad appagare i bisogni umani. Sarà banale ricordarlo, ma è da qui che occorre partire per sottolineare le quattro dimensioni dell’economista. La prima dimensione è costituita dalle basi teoriche con le quali l’economista dovrebbe, e non senza spirito critico, confrontarsi anche dopo la conclusione dei suoi studi accademici. Sorprende leggere commenti e analisi di economisti impregnati di teorie in auge negli anni 70 e 80, mentre nel frattempo, la realtà e i riferimenti teorici sono mutati come, ad esempio, nel campo della politica monetaria. Ciò non significa però neppure rincorrere, come pure capita di osservare, le ultime teorie, o presunte tali, lanciate e promosse sull’onda di nuove mode, tendenze e ideologie. La scienza economica, seppur giovane, dispone di un pensiero economico, al quale l’economista dovrebbe attingere, andando magari a rileggere, se non a leggere, i grandi autori che hanno dato dignità a questa disciplina (Adam Smith, Karl Marx e John Maynard Keynes per non citare che tre pesi massimi) senza trascurare letture di storia economica e di altre discipline umanistiche necessarie per completare e consolidare, con una continua ricerca, le conoscenze di una materia la cui natura è interdisciplinare nonostante l’inaridimento accademico che, da qualche tempo, la scienza economica sta attraversando.
La seconda dimensione concerne l’insegnamento, attività il cui scopo sta nel formare le generazioni successive affinché possano beneficiare delle conoscenze ed esperienze di chi li ha preceduti. Insegnamento che non può limitarsi ai soli istituti universitari, in quanto le conoscenze in campo economico non spettano ai soli futuri economisti ma anche per evitare un ripiegamento autoreferenziale del mondo accademico in una logica più di prestigio che di effettiva formazione delle nuove generazioni.
La terza e la quarta dimensione toccano il ruolo dell’economista nella società e il suo rapporto con la politica. Non sorprende constatare iniziative di divulgazione economica sui social media e neppure sorprende la presenza, da tempo, di economisti in aziende e in banche, fra i ranghi di partiti politici, all’interno dell’amministrazione pubblica e pure fra gli organi dello Stato: la scienza economica dispone di chiavi di lettura per comprendere, o cercare di comprendere, una realtà complessa e in mutamento con la quale aziende, Stato, partiti politici e semplici cittadini si confrontano. C’è però un avvertimento in ragione delle trappole che la visibilità mediatica e la vicinanza alla politica nascondono. Dipende qui da come l’economista si pone: intende dare, o cercare di dare, un contributo alla collettività grazie agli strumenti di analisi e di riflessione di cui la scienza economica dispone oppure si lascerà attirare e trascinare da allettanti benefici personali per favorire magari anche gruppi di appartenenza tradendo così, in un sol movimento, l’interesse collettivo e la propria professionalità? Infatti, per Keynes, in un noto passaggio, l’economista “deve allo stesso tempo mirare diritto allo scopo ed essere disinteressato, distaccato e incorruttibile come un artista e tuttavia talvolta [essere] con i piedi per terra come un politico”. In tempi nei quali parte del mondo politico (e parte della società) sembra avere testa e piedi un po’ sulle nuvole, il ruolo sociale e politico dell’economista si fa persino più pressante e difficile, sperando che fra i neolaureati delle facoltà di scienza economica si possano sempre trovare futuri economisti con le sensibilità e le capacità di unire tutte queste quattro dimensioni.