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Il benessere delle infermiere è anche il nostro

(Ti-Press)

Proviamo a immaginare cosa sarebbe successo nella fase più acuta e drammatica della pandemia da coronavirus nella primavera del 2020, se le autorità italiane avessero precettato il personale frontaliere attivo nelle strutture sanitarie ticinesi, come avevano diritto di fare in quella situazione straordinaria in cui Roma aveva decretato lo stato di emergenza. Gli ospedali si sarebbero fermati, non sarebbero semplicemente più stati in grado di curare i malati, quelli di Covid come quelli di tumore, gli infartuati, le vittime di incidenti e tutti gli altri. Sarebbe stata una catastrofe e abbiamo avuto fortuna.

Questo è un esercizio di immaginazione certamente utile, perché aiuta a dare la misura della gravità della situazione e della fragilità di un sistema sanitario fortemente dipendente dalla manodopera estera: 4’100 sono i medici, le infermiere e gli infermieri frontalieri che operano negli ospedali e nelle cliniche ticinesi, sono il 12 per cento del personale curante e medico-tecnico dell’Ente ospedaliero cantonale e nel settore delle cliniche private arrivano a rappresentare il 50 per cento del personale (come alla clinica Sant’Anna).

Le possibili risposte a questa situazione, non molto dissimile nel resto della Svizzera, soprattutto in Romandia dove è fortissima la dipendenza dal personale frontaliere francese, non sono molte: investire nella formazione, rendere la professione più attrattiva migliorando le condizioni d’impiego e di lavoro e assicurando il sufficiente finanziamento affinché le strutture si dotino dell’effettivo necessario a garantire a tutti e in ogni reparto cure di qualità.

Questi sono anche i pilastri della proposta contenuta nell’iniziativa popolare “Per cure infermieristiche forti”, su cui saremo chiamati a votare il prossimo 28 novembre. Un’iniziativa nata ben prima della pandemia, come risposta alle gravi criticità del sistema che vengono denunciate da anni dalle associazioni degli infermieri, dalle organizzazioni sindacali e soprattutto dalle operatrici e dagli operatori al fronte. Il Covid ha solo contribuito ad amplificare e a mettere a nudo i problemi: oltre alla permanente e diffusa carenza di personale (11’717 posti vacanti nel settore delle cure nel terzo trimestre 2021 e un fabbisogno di altre 70’000 da qui al 2029), condizioni e ritmi di lavoro che producono un eccesso di stress e malattie e, come conseguenza, l’abbandono prematuro della professione da parte del 40 per cento dei curanti e ancora nel pieno della vita attiva (un terzo di loro ha meno di 35 anni).

Una situazione che costituisce una vera e propria minaccia alla qualità delle cure in Svizzera. Cure di cui c’è e ci sarà sempre più bisogno: con l’invecchiamento della popolazione (nel 2030 gli ultra 65enni saranno il doppio di quanti erano nel 2014) aumenta infatti anche la proporzione di persone con malattie croniche che richiedono assistenza e cure infermieristiche, negli ospedali, nelle case anziani e a domicilio. In gioco vi sono la loro sopravvivenza e la loro qualità di vita.

È insomma nell’interesse dell’intera società investire risorse per la formazione e per garantire condizioni d’impiego e di lavoro dignitose ai curanti. Con un sì all’iniziativa “Per cure infermieristiche forti” faremmo un gran passo in avanti.