Da quando nel 1986 ho cominciato a essere coinvolto nel sistema sanitario cubano, sono stato, a mie spese (salvo quando diressi una delegazione parlamentare svizzera), una quarantina di volte nell'isola caraibica. Posso dire di conoscerne bene la realtà, inclusa la burocrazia asfissiante e la lentezza esasperante nel realizzare le riforme necessarie, difetti riconosciuti ora anche dal Presidente Diaz-Canel. Da sempre la mia valutazione sulla situazione cubana è stata diversa da quella dell'amico Bobo Antonini, il cui articolo (Il fantasma della libertà, La Regione, 19 luglio) mi ha però particolarmente deluso, anche perché parecchio confuso. Cosa c'entrino nell'attuale crisi Kim Jong Hun, Fukuyama e Piketty, non si riesce proprio a capire. È sì vero che Bobo, bontà sua, riconosce il "ruolo dell’asfissiante embargo nordamericano", ma nel giudicare il contesto attuale lo dimentica o perlomeno lo sottovaluta enormemente.
Ed è proprio qui il punto centrale: è infatti impossibile sopravvalutare gli effetti di questo terribile "bloqueo", che non solo è il più lungo, ma anche il più asfissiante della storia, paragonabile solo a quello con cui la Francia, due secoli fa, trasformò, dopo la proclamazione dell'Indipendenza, una florida Haiti in quel lazzaretto miserevole che è tuttora. Questo non è (ancora) riuscito a Washington, anche se all'inizio degli anni '90, quando scomparve l'Unione Sovietica e il prodotto nazionale cubano diminuì di più della metà, tentarono il colpo gobbo inasprendo ulteriormente il blocco: ai cubani riuscì il miracolo di resistere, cosa impensabile senza l'appoggio della maggioranza della popolazione. Dall'inizio della pandemia Trump ha recidivato, aggiungendo quasi 300 ordini esecutivi per tentare letteralmente di affamare l'isola e così spingerla alla rivolta.
In particolare è stato da allora impedito ai cubani che vivono negli Stati Uniti di mandare i remesas ai loro famigliari (5 miliardi all'anno!), la seconda entrata principale per Cuba dopo quella del turismo, ormai azzerato dalla pandemia. Trump ordinò inoltre di infliggere multe pesantissime a tutti quei bastimenti che trasportano petrolio, alimenti o addirittura medicine verso Cuba, impedendo anche alle banche (e le Svizzere sono state le prime a mettersi in ginocchio!) di trasferire fondi verso l'Avana. Sono questi i fatti che spiegano l'attuale crisi economica, che, impedendo l'acquisto di elementi essenziali, ha anche rallentato la campagna di vaccinazione con i vaccini (altrettanto efficaci dei nostri!) che Cuba come unico paese del sud del mondo è stato in grado di produrre. E se è vero che attualmente c'è una recrudescenza dei contagi (le lunghe file davanti ai negozi non aiutano!), la mortalità, contrariamente a quanto affermato nell'editoriale, è tutt'ora tra le più basse in America Latina, ed almeno 5 volte inferiore alla nostra.
Ma dove Antonini è completamente fuori strada è quando parla addirittura di "una politica sociale e sanitaria da anni calamitosa". Pur tralasciando di ricordare le innumerevoli brigate mediche cubane all'estero, come si spiega allora che Cuba ha dichiaramene la più lunga aspettativa di vita di tutta l'America Latina, da due anni addirittura migliore di quella degli Stati Uniti? Cuba vive da 60 anni, e soprattutto ora, in una situazione peggiore di quella nel nostro paese durante la seconda Guerra Mondiale, quando anche da noi la democrazia era molto limitata. In queste condizioni è difficile pensare ad un'espansione dei meccanismi democratici, tra l'altro già ben sviluppati sull'isola a livello municipale, circondariale e sul posto di lavoro.
Qualche giorno fa ho partecipato a una teleconferenza con una cinquantina di statunitensi, attivi in diverse Ong, spesso abbastanza influenti nella sinistra del partito democratico. Erano tutti disperati perché Biden, nonostante le promesse fatte in campagna elettorale, ha ora riaffermato la linea dura sul blocco economico, confermando addirittura la proibizione di inviare le remesas. E questo semplicemente perché ha paura del voto in Florida nel 2023. È stomachevole che per un puro calcolo elettorale si confermi il tentativo di affamare un popolo per spingerlo alla rivolta, per fomentare la quale sono stati votati molti milioni di dollari e orchestrata un'impressionante campagna eterodiretta sui socials. Certo, i giovani all'Avana gradirebbero, come tutti, più libertà: ma chi ha assaltato i posti di polizia in questi giorni è soprattutto spinto dalla fame. Il gioco spietato di Washington non è uno sbaglio, è un grave crimine, di fronte al quale tertium non datur: o si sta da una parte o dall'altra.