La risposta di Luigi Pedrazzini a Fiorenzo Dadò
L’articolo di Fiorenzo Dadò (“Potere, sesso e inchieste alla RSI”, La Regione dell’8 febbraio 2021) ha collegato fra loro vicende diverse, e di gravità oggettivamente diversa, e tende a gettare un’ombra pesante su RSI e SSR e sui loro vertici. Lo scritto di Dadò merita una sollecita risposta, che redigo limitandomi a esporre i fatti.
Confrontati con pesanti accuse, con l’infamante sospetto di aver tollerato comportamenti inaccettabili per l’integrità delle collaboratrici e dei collaboratori (molestie sessuali, mobbing) i vertici della SSR hanno reagito con fermezza e tempestività e adottato una serie di misure atte a chiarire la situazione, a identificare e sanzionare comportamenti inaccettabili e a introdurre nell’azienda, a tutti i livelli e in tutte le regioni, gli strumenti necessari per prevenire nel futuro ogni forma di abuso. In questo senso sono stati in primo luogo creati i canali per consentire alle collaboratrici e ai collaboratori di segnalare, senza rischio di ripercussioni personali, situazioni di cui si considerano vittime. Nella Svizzera italiana ciò è avvenuto su iniziativa del sindacato SSM, pienamente sostenuta dalla direzione RSI. Sono poi stati avviati i necessari accertamenti, facendo capo a istanze esterne e indipendenti e avendo cura di impedire che la gerarchia interna alla SSR possa interferire, laddove oggetto degli approfondimenti sia il comportamento dei quadri dell’azienda.
Il Consiglio di Amministrazione ha inoltre deciso un ulteriore passo. Ha avviato, tramite una sua commissione interna che opera in collaborazione con il servizio del controllo interno e consulenti esterni indipendenti, un’indagine a tappeto su tutta l’azienda per individuare lacune nel sistema che possono aver permesso il diffondersi di comportamenti inaccettabili e per indicare le misure volte a evitare che nel futuro abbiano a ripetersi situazioni analoghe.
Le inchieste sono in corso. Il Consiglio di Amministrazione SSR, così come la direzione generale, stanno investendo tutte le energie necessarie per fare chiarezza in tempi brevi: è un atto dovuto in primo luogo alle collaboratrici e ai collaboratori vittime di abusi, in secondo luogo a tutti coloro che hanno sempre operato con grande correttezza e, non da ultimo, all’azienda stessa. Nella misura in cui queste vicende possono aver gettato ombre sull’immagine della SSR, il Consiglio d’amministrazione e la direzione generale avvertono pienamente la responsabilità di operare rapidamente, in modo trasparente, per un pieno recupero di credibilità.
Non sono oggi in grado di indicare i tempi necessari per giungere a comunicazioni dei risultati e di specifiche misure, ma sono convinto che fatti importanti arriveranno ben prima dell’estate.
Nel suo “collage” giornalistico, Dadò include anche la vicenda degli inopportuni e infelici tweet del direttore regionale Maurizio Canetta. Va innanzitutto precisato che i vertici SSR ne sono venuti a conoscenza solo lo scorso 28 gennaio e pertanto non sapevano da mesi, come ha invece scritto Dadò ! Appena a conoscenza dei fatti, presidente del Consiglio di Amministrazione e direttore generale SSR hanno reagito, richiamando formalmente il direttore della RSI e affidando al supplente del Direttore, già delegato della Direzione RSI ai rapporti con i partner sociali, il dossier su molestie e mobbing: è qui utile precisare, che la responsabilità del dossier non comporta competenze d’inchiesta ma soprattutto, in questa fase, il perfezionamento assieme al sindacato SSM della procedura di accertamento dei fatti e delle responsabilità, procedura affidata poi a persone esterne e indipendenti.
La reazione dei vertici SSR in questo frangente è stata criticata perché considerata troppo blanda e non equilibrata rispetto a decisioni adottate nel passato nei confronti di altre e altri dipendenti dell’azienda. Risulta dagli atti che il mancato rispetto delle norme interne in relazione all’uso dei “social” da parte delle collaboratrici e dei collaboratori RSI è sempre stato sanzionato con richiami formali. Misure supplementari sono state applicate solo in un caso, fermo restando che non risultano licenziamenti conseguenti a uscite improprie sui social.
Non è mai buona cosa, e nemmeno espressione di vera giustizia, valutare la gravità dei singoli comportamenti come fossero elementi di un medesimo quadro nel quale artificialmente si mescolano situazioni fra loro oggettivamente diverse.