7 febbraio 1971: le donne ottengono il diritto di voto ed eleggibilità sul piano federale. La riflessione della storica Nelly Valsangiacomo.
In questi giorni, i media concorrono a ricordare l’accesso al voto femminile e, come per l’8 marzo, al contrario di tutti gli altri giorni dell’anno, e sono tanti, donne di estrazione e formazione diversa sono invitate a esprimersi nello spazio mediatico sulle numerose conquiste e gli evidenti miglioramenti avvenuti da allora.
Va detto però che in Svizzera il diritto di voto per le donne fu così scandalosamente tardivo (e sui motivi sociostorici altre persone sono intervenute o lo faranno) che il 1. Marzo 1969 la piazza federale a Berna fu invasa da manifestanti per impedire che la Svizzera ratificasse la Convenzione europea dei diritti dell’uomo con alcune riserve, tra cui il diritto di voto alle donne, appunto, e l’uguaglianza di diritti tra ragazzi e ragazze nell’educazione. Del resto, si parlava di diritti dell’uomo, non della persona, e si sa bene quanto il linguaggio possa essere ipocritamente neutro.
Né pionieristica, né illuminata
In anni successivi, Alice Ceresa scrisse con la sua bella vena polemica che di femminile la Svizzera aveva soltanto il nome. Constatava che poiché “non risultano tracce di particolari innate deficienze nella popolazione femminile svizzera che ne potessero rendere plausibile un così persistente e reiterato stato di tutela” da parte degli uomini, si doveva dedurne che il mantenimento di trattamenti differenziati a livello di diritti era la conferma della “paleolicità della natura svizzera”. (Alice Ceresa, Piccolo dizionario dell’ineguaglianza femminile, 2007). Probabilmente la natura elvetica non è paleolitica; certo non è così pionieristica e illuminata come ci raccontiamo troppo spesso. Diritto di voto a parte, fu solo la rinnovata costituzione del 1981 a introdurre, almeno teoricamente, l’uguaglianza di diritti tra uomo e donna e proprio grazie a questo articolo ormai iscritto nella costituzione, l’anno successivo il Tribunale federale poté dare ragione ai genitori di una ragazza vodese, che avevano presentato ricorso contro le condizioni di ammissione scolastica più severe previste per le ragazze rispetto ai ragazzi.
50 anni sono una vita, ma sono anche una virgola nelle temporalità storiche. E se è chiaro quanto la posizione di una virgola possa cambiare il significato delle cose, è illusorio credere che le mentalità si trasformino da un giorno all’altro e soprattutto che il percorso sia lineare e senza retrocessioni. Il voto alle donne è stato un momento fondamentale, uno snodo storico nella conquista della parità, tuttavia un punto di partenza, non un punto d’arrivo.
Stereotipi e discriminazioni sempre presenti
Forse non lo si toglierà più, il voto alle donne, perlomeno ad alcune, perché altre ancora non l’hanno, ma in una società strutturata attorno alle disuguaglianze di classe, di genere e di “razza”, pensare che non si debba lottare per mantenere le conquiste emancipatorie è pura illusione, o incoscienza, o buonismo. Ci sono voluti 50 anni per raggiungere una percentuale significativa di donne in parlamento e 50 anni per avere un numero un po’ meno esiguo di sindache e di donne nei consessi comunali, ma a distanza di mezzo secolo i discorsi, le rappresentazioni, le mille e una situazioni dietro le quali si celano i pregiudizi o una semplice visione opportunista delle differenze tra i generi, sono sempre lì, a ricordarci che se a livello individuale molte sono le donne che anche per temperamento, origine o fortuna, hanno potuto esprimersi e “farsi un posto nella società”, come si dice, a livello collettivo il pensiero dominante è lungi dall’essere completamente ancorato a una visione egualitaria.
A distanza di 50 anni, tra i molti esempi possibili, le donne sono ancora discriminate dal punto di vista salariale e sarà interessante capire come i cambiamenti lavorativi e familiari dati dalla crisi del Covid-19 abbiano influenzato le condizioni delle donne e degli uomini, anche delle giovani generazioni, poiché è nei periodi di crisi che le discriminazioni si accentuano. Ciò che gli studi già ci dicono è che le persone economicamente più deboli sono anche quelle che partecipano meno alla vita democratica, e una significativa percentuale di tali persone è composta da donne.
50 anni sono pochi, ma sono anche tanti. E si possono cominciare a sentire. Il mio augurio è che si torni a ricordare che i nostri diritti di donne vengono dai margini e che i margini sono anche luogo di configurazione di resistenza e di lotte; forse la rinnovata consapevolezza delle origini, ci permetterebbe di dare un vero, nuovo, impulso alla politica, anche per le donne, non solo per le donne.