I dibattiti

Rete Due e il valore delle voci della cultura

La storica Nelly Valsangiacomo sulla trasformazione di Rete Due in radio solo musicale: "Una deriva verso voci informative solo locali, o ancora peggio parziali"

Nelly Valsangiacomo (Archivio Ti-Press)
6 dicembre 2020
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La notizia riguardante i cambiamenti in atto alla Radio svizzera di lingua italiana, in particolare Rete Due, non sorprende; nondimeno, amareggia. Non sorprende se si ritorna con la mente al discorso di Gilles Marchand, neoeletto Direttore della SSR, subito dopo il rigetto dell’iniziativa “No Billag”. Un tono dimesso e sottomesso a una visione destrutturante del servizio pubblico radiotelevisivo, tale da lasciare sconcertati: ma non era una vittoria? Da allora, anche i tentacolari organigrammi della Rsi, limitandosi alla nostra regione, hanno cominciato un lento depotenziamento dell’azienda, agendo direttamente sulla carne viva: le persone al fronte, i loro compiti e la programmazione. Una modalità che ricorda le tristi vicende delle Ffs, ritrovatesi a un certo punto con un Ceo, ma senza macchinisti.

La notizia non sorprende nemmeno l’orecchio più attento, non solo per la diminuzione delle dirette e la moltiplicazione delle repliche, ma anche per la scellerata scelta di automatizzare i pomeriggi e le sere dei weekend: radiogiornali svaniti nel nulla, bruschi passaggi da una trasmissione all’altra, programmi trasmessi solo parzialmente.

E dov’è finito il corrispondente culturale dalla Svizzera tedesca? Se questi sono i primi risultati della fusione della cultura e dell’intrattenimento in un unico dipartimento, immagino che fra poco sarà il cane Peo a parlarmi di Friedrich Dürenmatt e della sua importanza nel dibattito democratico in Svizzera.

La risposta è sempre la stessa: faremo meglio, sempre più differenziato, con meno soldi e meno sprechi: non vi preoccupate. E invece c’è da preoccuparsi, e assai! Questo ritornello ricorda le pubblicità di capienti auto monovolume, nelle quali entrano una famiglia numerosa, i bagagli, gli sci e l’immancabile labrador. E tutto questo a costo irrisorio. Nelle pubblicità però ci sono gli asterischi, che in piccolo o con voce molto accelerata ti dicono che non è proprio così: probabilmente i bagagli bisognerà lasciarli a casa, il labrador sarà accecato dalla punta di uno sci e il motore ti mollerà per strada se carichi più di quattro persone. Quali sono gli asterischi della Ssr e della Rsi? A mio avviso troppi e molto pericolosi.

Certo, era stato annunciato: ridimensionare il lineare e puntare sulle piattaforme digitali. Una scelta a passo con i tempi, si disse, e si dice. E questo sembra dover bastare per spiegare scelte drastiche, le cui strategie a medio-lungo termine dal punto di vista della solidità del servizio pubblico radiotelevisivo e della sua programmazione sono quantomeno fumose, almeno per due aspetti: la qualità e la modalità.

Per quanto concerne il primo aspetto, una radio di servizio pubblico deve mantenere alta la qualità dell’approfondimento informativo e culturale e questo Rete Due lo fa egregiamente e con un costo che non ha paragoni, se si pensa ai capitali investiti (si fa per dire) in abbozzi di piattaforme internet, in tentativi di programmi televisivi evanescenti, per non parlare di scelte logistiche operativamente discutibili, sempre nell’ottica del risparmio, quale valore assoluto, che si stenta però a calcolare. L’approfondimento culturale, inteso nel senso più ampio del termine - ed è così che viene interpretato dalle giornaliste e dai giornalisti di Rete Due, nonostante le mille difficoltà - è uno strumento indispensabile per la comprensione di quello che ci circonda, tanto quanto lo sono gli approfondimenti proposti per altri ambiti dalle altre due reti radiofoniche. Per fare dei buoni approfondimenti ci vogliono competenza, tempo e dedizione: molte trasmissioni di Rete Due hanno queste caratteristiche.

Inoltre, Rete Due, in una realtà come la nostra, ha la sua importanza: non solo le sue trasmissioni aprono a orizzonti di comprensione delle culture e delle regioni che ci circondano, ma permettono anche alla ricca realtà artistica e culturale della Svizzera italiana di avere un luogo dove presentarsi, dove esistere dal punto di vista mediatico, al di là dei comunicati stampa. E infine, la radio di servizio pubblico ha sempre avuto un ruolo di mecenate per la cultura, quale luogo di proposta e sperimentazione: basterebbe tornare a ricordarselo.

Per quanto concerne il secondo punto, a mio avviso, le piattaforme digitali possono accompagnare il lineare, ma non lo possono sostituire, per molti motivi. La diretta e il flusso fanno parte integrante del fascino, della specificità e dell’importanza tuttora (e sempre più) riconosciuti della radio e al contempo evitano una gravissima deriva della nostra società: attraverso i social e i logaritmi ognuno trova solo quello che vuole trovare, senza nessun confronto: una bolla informativa nella quale ci si bea, ma non ci s’informa (Trump, tra gli altri, insegna). La radiotelevisione di servizio pubblico può e deve evitare tutto ciò: il suo mandato e il sistema di controllo che la accompagna vanno in questa direzione e quel mondo politico che tanto intona alla democrazia dovrebbe tenerne finalmente conto.

Infine, i podcast nativi sono complessi da produrre. Sono molte le esperienze più o meno ridimensionate, se non fallite, che lo dimostrano (si pensi per la Francia a Mathieu Gallet e alla sua ambiziosa piattaforma Majelan). I podcast che accompagnano le radio con vocazione di servizio pubblico scaturiscono da trasmissioni passate dal lineare: è sul lineare che si fidelizzano gli ascoltatori. Soprattutto, non si fanno podcast solo con l’intrattenimento, ma con l’approfondimento, l’arte, la cultura.

Dalla sua nascita, la radio si è sempre dimostrata un media flessibile, capace di adattarsi anche ai tempi di crisi (come le prime ricerche sul periodo Covid hanno dimostrato in molti paesi, quali la Francia e l’Italia). Per la Ssr, impoverire parte del servizio radiofonico e fare delle reti del culturale un’ombra di sé stesse è come stare in piedi in una barca con un po’ d’acqua sul fondo e togliere il tappo al posto di usare un secchio per evitare di affondare. È il primo passo verso lo smantellamento della radio di servizio pubblico e una deriva verso voci informative solo locali, o ancora peggio parziali. Abbiamo invece un enorme bisogno di una moltitudine di voci. Abbiamo bisogno di molte voci per restare in una democrazia vera, non solo in politica, ma anche nello spirito. E Rete Due è una di queste voci.