L’ecoansia non nasce da scenari apocalittici, ma dall’inazione politica, dall’ottimismo ingiustificato di messaggi falsamente propizi e privi di contenuti. L’ultimo rapporto dell’Onu, che traccia i progressi nella lotta al surriscaldamento climatico e comunica il divario tra quanto promesso e quanto necessario per rispettare gli Accordi di Parigi, parla di azioni inadeguate all’urgenza attuale e di una finestra d’opportunità che sta per chiudersi.
Non fare nulla è un lusso, che chi vive in situazioni di pericolo imminente, come nel recente caso del ciclone Freddy, una mega tempesta che ha colpito il Sud-est dell’Africa, non può nemmeno contemplare. A molte persone, soprattutto per coloro che vivono nel Sud del mondo, la crisi climatica sta già allagando le case, seppellendo interi villaggi sotto colate di fango e roccia, spazzando via campi e mezzi di sostentamento.
Facciamo parte dell’1% di coloro che vivono una vita materialmente sicura e confortevole e che ha il maggior impatto ambientale. Non abbiamo il diritto di capitolare, bensì il dovere di agire in solidarietà e con costanza, riconoscendo il debito climatico che abbiamo verso il resto del mondo. Giustizia climatica significa affrontare il nostro impatto: sono le disuguaglianze sociali e l’ingiustizia a uccidere le persone.
Agire è necessario e possibile. Nulla è determinato, nemmeno ora, bensì dipende dalle nostre decisioni. Non possiamo permetterci di aspettare che agiscano altre persone per noi. Il futuro è ancora aperto e lo stiamo scrivendo, in questo esatto momento. Sperando, si prende un rischio. E si rischia di perdere, forse anche in maniera sonora. Ma sperare significa anche rischiare di ottenere un buon risultato. E ciò capita solamente se ci si mette in gioco.