Il G7 chiede una transizione pacifica, Mosca negozia per le basi
Il primo venerdì di preghiera nella nuova Siria verrà ricordato come giorno di festa. Migliaia le persone che si sono radunate per le strade, da Damasco ad Aleppo, da Homs ad Hama, sventolando le bandiere a tre stelle dei ribelli, per celebrare "la liberazione dalla prigionia" degli Assad. Un bagno di folla è andato in scena anche davanti alla Moschea degli Omayyadi, il cuore del culto nella capitale, in seguito all'appello dei nuovi leader del Paese a scendere in piazza per la "vittoria".
Nel frattempo, in attesa dei prossimi sviluppi sul fronte politico, si muove la diplomazia internazionale. Da una parte i leader occidentali del G7, riuniti che hanno chiesto una "transizione pacifica e ordinata". Dall'altra la Russia, che sta negoziando per mantenere le sue due basi, presidio strategico nel Mediterraneo. "Unito, unito, unito, il popolo siriano è unito", hanno cantato i fedeli nel cortile della Moschea di Damasco nel primo venerdì senza Bashar al Assad. Con tanti giovani a fare il segno della vittoria davanti alle telecamere dei media arabi e occidentali. Scene senza precedenti, che hanno riportato alla mente le prime manifestazioni pro-democrazia del 2011, a cui il regime reagì con una durissima repressione, scatenando una sanguinosa guerra civile.
Poche ore prima dei festeggiamenti, il capo della principale formazione dei ribelli, Abu Muhammad al-Jolani (che ora usa il suo vero nome, Ahmad Sharaa) si era "congratulato con il popolo siriano per la vittoria della rivoluzione". Chiamando poi tutti i siriani a partecipare alla "ricostruzione del Paese". Dopo la gioia per le strade, verrà appunto il tempo delle scelte della nuova leadership di Damasco, e proprio su questo si concentra l'attenzione della comunità internazionale.
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Si dipingono muri, saracinesche e negozi
Il G7, riunitosi in videoconferenza sotto la presidenza italiana prima del passaggio di consegne con il Canada, ha ribadito la necessità di un "processo politico inclusivo" che rispetti i diritti. Della condizione delle minoranze, incluse quelle cristiane, è particolarmente preoccupata l'Ue, che comunque in questa fase rimane orientata al dialogo con Damasco. Fonti diplomatiche hanno fatto sapere che l'obiettivo è entrare "presto in contatto" con le nuove autorità. Anche se si tratterà di contatti "operativi e non politici", perché sul gruppo islamico di Jolani, Hts, incombe l'incognita di essere ancora considerato un'organizzazione terroristica dai Paesi occidentali. Intanto la Commissione tiene aperto il canale umanitario, lanciando un altro ponte aereo. Quanto agli Stati Uniti, una delle priorità è scongiurare la rinascita di forze destabilizzanti per tutta la regione. "È imperativo continuare la lotta all'Isis", è stata la richiesta del segretario di Stato Antony Blinken alla Turchia durante un faccia a faccia con Recep Tayyp Erdogan durante un tour che ha toccato anche Giordania e Iraq. Il sultano, invece, ha annunciato "misure preventive contro tutte le organizzazioni terroristiche che operano in Siria e rappresentano una minaccia per la Turchia": non solo l'Isis, ma anche quei curdi che gli americani vorrebbero tutelare. Sul fronte degli sconfitti, non resta a guardare la Russia. Il viceministro degli Esteri Mikhail Bogdanov ha reso noto che sono stati stabiliti contatti con Hts, che "procedono in una direzione costruttiva".
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Una famiglia festeggia per le strade di Damasco
Il dossier principale riguarda le basi di Tartus (navale) e Latakia (aerea). Finora, secondo fonti informate sentite dai media russi, Damasco ha fornito "garanzie di sicurezza temporanee e le basi continuano a funzionare", ma l'obiettivo del Cremlino è che restino attive in modo permanente. Degli sviluppi in Siria è spettatore interessato anche Israele, che ha approfittato dell'avanzata dei ribelli su Damasco per guadagnare ulteriori posizioni sulle alture contese del Golan. Il ministro della Difesa Israel Katz ha ordinato all'esercito di "prepararsi a rimanere" per tutto l'inverno nella zona cuscinetto.