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In Svizzera i negoziati per un cessate il fuoco in Sudan

A guidare i lavori gli Stati Uniti. Si cerca la pace, ma il grande assente è l'esercito sudanese

Due donne protestano pacificamente davanti all’Onu di Ginevra
(Keystone)
15 agosto 2024
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I colloqui per il cessate il fuoco in Sudan sono iniziati oggi in Svizzera sotto la guida degli Stati Uniti. Grande assente è però l'esercito sudanese.

"Le discussioni sono iniziate", ha dichiarato all'Afp un portavoce dell'ambasciata statunitense a Ginevra, precisando che non c'è stato "alcun cambiamento" per quanto riguarda la mancata partecipazione dell'esercito sudanese. "È giunto il momento di mettere a tacere le armi", ha dichiarato Tom Perriello, inviato speciale degli Stati Uniti per il Sudan.

La guerra in Sudan oppone dall'aprile 2023 l'esercito del generale Abdel Fattah al-Burhan alle Forze paramilitari di supporto rapido (Rsf) del suo ex vice, il generale Mohammed Hamdane Daglo, in un conflitto che ha portato il paese sull'orlo della carestia e causato decine di migliaia di morti.

Khartoum contesta presenza Emirati

I precedenti round di negoziati a Gedda, in Arabia Saudita, sono falliti e alla fine di luglio Washington ha invitato l'esercito delle Forze armate sudanesi (Saf) e i paramilitari a partecipare ai colloqui per il cessate il fuoco in Svizzera.

I paramilitari hanno subito accettato l'invito, ma il Sudan, guidato di fatto dal comandante dell'esercito, ha espresso il suo disaccordo, facendo capire qualche giorno fa che l'esercito non sarebbe venuto in Svizzera. "Si potrebbe fare di più insieme se le SAF inviano una delegazione", ha dichiarato ieri sera Perriello.


Keystone
Donne rifugiate in Sudan

Washington auspicava che i colloqui, co-sponsorizzati da Arabia Saudita e Svizzera, includessero l'Unione Africana, l'Egitto, gli Emirati Arabi Uniti e le Nazioni Unite come osservatori. Khartoum contesta da parte sua la presenza degli Emirati e la creazione di una piattaforma di discussione altrove rispetto a Gedda.

Al contrario, gli Stati Uniti ritengono che gli Emirati Arabi Uniti, insieme all'Egitto, possano essere "garanti" di un eventuale accordo e vedono i colloqui in Svizzera come una "estensione" di Gedda.

"Un bluff"

I primi colloqui tra le due parti in guerra in Sudan e un inviato delle Nazioni Unite, il diplomatico algerino Ramtane Lamamra, si sono svolti a metà luglio a Ginevra. Si sono concentrati sugli aiuti umanitari e sulla protezione dei civili.

Secondo il Segretario di Stato americano Antony Blinken, l'obiettivo dei colloqui è "raggiungere la cessazione delle violenze in tutto il Paese, consentire l'accesso umanitario a tutti coloro che ne hanno bisogno e mettere in atto un solido meccanismo di monitoraggio e verifica per garantire l'attuazione di un eventuale accordo". I nuovi negoziati non affronteranno invece "questioni politiche più ampie".

"Gli Stati Uniti hanno cercato di creare l'illusione di un momento di slancio per costringere il SAF a cooperare (...). Ma era un bluff e le forze armate sudanesi lo hanno scoperto perché sanno che la comunità internazionale è divisa", afferma Cameron Hudson del Centre for Strategic and International Studies di Washington.

"L'unico modo per farli discutere è la forza bruta: o il rischio di perdere la guerra sul campo di battaglia, o il rischio di un vero e proprio isolamento diplomatico e di una vera e propria devastazione economica", ma "nessuna di queste pressioni esiste al momento", ha dichiarato l'esperto all'Afp.

Località tenuta segreta

Secondo Alan Boswell, direttore del progetto per il Corno d'Africa dell'International Crisis Group (Icg), il campo del generale Burhan sta "affrontando serie divisioni interne" a causa delle discussioni in Svizzera. Boswell ritiene però che il capo delle Saf"subirà una crescente pressione esterna se sarà visto come il principale ostacolo alla fine della guerra".

L'incontro in Svizzera, in una località non rivelata per motivi di sicurezza, durerà al massimo dieci giorni. Il Sudan si trova attualmente a un "punto di rottura" catastrofico, con una combinazione di diverse crisi che potrebbe causare altre decine di migliaia di morti, ha avvertito questa settimana l'Organizzazione internazionale per le migrazioni (OIM).