Domani le elezioni in Venezuela con il presidente che parla di bagno di sangue in caso non venisse eletto. Il rivale González ha 21 punti di vantaggio
Maduro che prepara su TikTok il frullato che l’ha fatto dimagrire, Maduro che dà lezioni di salsa, Maduro che inaugura campi da calcio e reparti di ospedali con l’aria orgogliosa di chi li ha costruiti con le sue mani, Maduro alla guida di un autobus (il suo lavoro prima di entrare nei sindacati e poi in politica), Maduro con gli occhiali a specchio da trapper, Maduro che ordina un reality show per scegliere la canzone della sua campagna elettorale, Maduro che fa mandare le repliche di un cartone animato del 2018 con un supereroe battezzato ‘Súper Bigote’ che ha i suoi baffi e le sue sembianze. Maduro che mette i guantoni e prende a pugni due glorie della boxe compiacenti, Maduro che mostra il video di un fiero gallo da combattimento (il “Gallo Pinto”, e cioè lui) che stende un gallo “pataruco” (un gallo che vale poco, sinonimo di “codardo”, che poi sarebbe il suo rivale), Maduro in tv con la sua trasmissione che dura tre ore a puntata e si chiama, tanto per mettere le cose in chiaro, “Con Maduro”. Poi c’è la webserie agiografica – in stile ‘vita dei santi’ – intitolata, tanto per cambiare un po’, ma non troppo, “Nicolás”, il nome di Maduro.
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Maduro sul palco durante un comizio
C’è lui, dappertutto, anche perché altro non ci può essere in una campagna elettorale in cui il potere, riassumibile sempre in una parola, una persona – Maduro – ha cercato di cancellare l’opposizione e gli avversari politici in ogni modo: impedendo alla candidata Maria Corina Machado, data per favorita nei sondaggi, di candidarsi, e oscurando ogni tentativo di comparire sui media dell’unico vero rivale rimasto, l’ex ambasciatore Edmundo González, 73 anni, rimpiazzo di Machado, che – in barba alle censure – ha ventuno punti di vantaggio su Maduro (56% contro 35%). Per questo, il presidente ha già minacciato a più riprese “un bagno di sangue” e “la guerra civile” in caso di sconfitta alle elezioni di domani in Venezuela.
Sa che nemmeno con i brogli, di cui è accusato per tutte le precedenti elezioni, potrebbe riuscire a confermarsi al potere. E così usa la paura, strumento che ben conosce e ben maneggia e di cui si è già servito negli anni, tra sevizie, intimidazioni e l’uso sistematico di torture e omicidi. Per questo nel 2020 Maduro è stato condannato per crimini contro l’umanità dalla Corte Internazionale dell’Aja, nello stesso periodo in cui il Venezuela, Paese ormai allo sfascio da un punto di vista sociale, economico e politico, era governato da due presidenti: uno eletto dall’Assemblea (e sostenuto dagli Stati Uniti), Juan Guaidó, e l’altro, lui, che aveva vinto l’ennesima elezione truccata.
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Supporter di Maduro con cartellone elettorale
Negli ultimi cinque anni il Venezuela è stato ostaggio di Maduro e della sua ossessione per il potere, a tal punto da far scegliere a quasi otto milioni di persone di lasciare le loro case e il loro Paese. Un numero enorme se si pensa che il Venezuela aveva meno di trenta milioni di abitanti: i conti sono presto fatti, una persona su quattro ha abbandonato per disperazione e per fame il Paese, invadendo le nazioni vicine, in primis Colombia ed Ecuador.
Molte di quelle persone vorrebbero votare, ma Maduro – consapevole che una frode elettorale potrebbe non bastargli – ha messo in atto una “frode pre-elettorale”, come l’ha definita l’attivista per i diritti umani Ligia Bolívar. Su 3-5 milioni di potenziali elettori all’estero, quasi tutti contro Maduro, solo 70mila sono riusciti a registrarsi per votare.
L’erede designato di Chávez, salito al potere dopo la morte del presidente più amato dai venezuelani, le ha provate tutte per restare in sella, facendo leva sia sul nazionalismo da balera – rilanciando musiche e balli tradizionali – che su quello da trincea rivendicando l’Esequibo, una parte della vicina Guyana (ovviamente piena di petrolio e gas naturale) e sollevando così una vecchia disputa territoriale rimasta sepolta per decenni in archivi impolverati.
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Maria Corina Machado con Edmundo González, il candidato anti-Maduro
La pazienza nei confronti di Maduro non si è esaurita solo in patria, ma anche nei Paesi vicini: gli ex alleati della stessa area politica, come il brasiliano Lula e il colombiano Petro, hanno preso la distanze dal venezuelano, che ha trascinato consapevolmente il Paese alla deriva: dal 2016 infatti il Venezuela è stato sospeso dal Mercosur (il mercato comune sudamericano). Ci era entrato nel 2012 e uno dei grandi manovratori dietro quel successo diplomatico era stato proprio l’attuale rivale alle elezioni di Maduro, Edmundo González, che sfoggiò all’epoca tutto il suo armamentario diplomatico, cosa che ha continuato a fare in questi mesi di campagna elettorale dove non ha mai attaccato frontalmente Maduro, a differenza di quanto faceva la prima candidata, Machado.
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Maduro insieme a Chávez nel 2012
L’aria è cambiata, e dopo 25 anni al potere sembra arrivato il momento di cedere il passo per il movimento creato da Chávez e in parte portato avanti, in parte tradito da Maduro, che non ha mai avuto il carisma né la fantasia da provocatore-negoziatore globale del predecessore. Con lui l’economia è crollata: a nulla è servito mascherare la moneta nazionale, riconvertita in Bolívar Forte e poi Bolívar Sovrano, togliendo artatamente zeri che l’inflazione aggiungeva. Maduro col tempo provò anche la strada della criptovaluta, agganciata al petrolio: si chiamava Petro e da gennaio di quest’anno non esiste più. Era solo un’altra idea balzana, come quando nel 2015 presentò un paio di scarpe da regalare a tutti i nuovi militanti del partito: erano scarpe autarchiche, nel logo (non nella forma che riprendeva le americane All Star), ma mentre le presentava indossava una tuta Adidas, dando forma in quell’immagine alle sue stesse contraddizioni. Ora per lui pare davvero arrivato il momento della verità. Una verità che ha già dimostrato di non saper accettare. Ci resta da capire con quali conseguenze.