Mossa studiata ‘contro le forze indipendentiste’. Taipei muove le sue truppe
La Cina ha lanciato una furiosa "operazione punitiva" contro Taiwan. A tre giorni dall'insediamento alla presidenza dell'isola di William Lai, ritenuto da Pechino un "pericoloso separatista", l'Esercito popolare di liberazione ha deciso di mobilitare aerei e navi da guerra per "la presa di controllo del campo di battaglia", ha riferito una nota del Comando del teatro orientale, attraverso un accerchiamento e un blocco aereo-navale con il presidio di cinque aree marittime.
Almeno 49 jet sono stati rilevati dal ministero della Difesa di Taipei, in un bilancio diffuso nella notte. Ma ci sarebbero anche 15 navi militari e 16 unità della guardia costiera cinese. L'operazione di due giorni ha avuto inizio senza alcun preavviso alle 7.45 locali (1.45 in Svizzera) con il nome di ‘Spada congiunta 2024-A’ e ha visto l'utilizzo per la prima volta della guardia costiera. Un aspetto, quest'ultimo, che rispecchia il "cosiddetto ‘modello Kinmen’", ha notato Mathieu Duchatel, analista dell'Institut Montaigne, basato sulla "presenza nelle acque ristrette delle isole Daqiu, Xiaoqiu e Dongyin", nel controllo di Taiwan ma a pochi chilometri dalla costa della Cina e che in caso di attacco reale sarebbero il primo obiettivo. Quindi, Pechino continua "a scegliere aree in cui il governo taiwanese non ha dichiarato linee di base e acque territoriali, ma solo acque limitate. Attraversare la linea delle 12 miglia manderebbe il segnale che la Cina è disposta a rischiare uno scontro importante".
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Il presidente di Taiwan William Lai in una base militare
Le manovre, oltre a prendere di mira Lai, sono un "serio monito contro ogni tipo di interferenza straniera". E il portavoce del ministero degli Esteri Wang Wenbin si è spinto anche oltre: coloro che sostengono l'indipendenza di Taiwan rimarranno con "la testa rotta e il sangue che scorre", ha detto nel briefing quotidiano. Il governo di Taipei ha risposto e mobilitato le sue forze armate, tra aerei, navi e unità missilistiche, a "difesa della sovranità" e ha accusato Pechino di attuare una "provocazione irrazionale" che "mette in evidenza la mentalità militarista di Pechino". E lo stesso Lai, indossando per la prima volta i panni del commander-in-chief, ha assicurato che Taiwan "difenderà i valori della libertà e della democrazia. Sarò in prima linea con i nostri fratelli e sorelle militari per difendere la sicurezza nazionale" e "a preservare la pace e la stabilità nella regione", ha detto Lai recatosi alla base militare di Taoyuan, alle porte di Taipei.
Con le esercitazioni di grandi dimensioni, l'Esercito popolare di liberazione "ottiene tre ritorni strategici", ha osservato Mick Ryan del Lowy Institute ed ex generale maggiore australiano: "Normalizza l'attività su larga scala intorno a Taiwan, per ingannare sulle intenzioni future; agisce da prepotente e cerca di mettere sotto pressione il governo democratico di Taiwan; proietta, infine, un'aria di ‘inevitabilità’ nella regione/mondo sull'eventuale sua acquisizione di Taiwan". Naturalmente, ha aggiunto su X, "non è inevitabile, ma il Partito comunista cinese sta usando lo stesso programma di propaganda di Vladimir Putin in Ucraina". Non è un caso, comunque, che le esercitazioni siano partite dopo la visita a Pechino del capo del Cremlino - con cui Xi ha forgiato una "amicizia eterna" - e l'investitura di Lai.
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Elicotteri militari con la bandiera di Taiwan
Il punto portante per il leader cinese è quello di contrastare con ogni mezzo il presidente democratico di Taipei che, nel discorso di insediamento, ha ribadito di voler restare ancorato allo "status quo" in vigore dal 1949 (dalla fine della guerra civile) e quindi alla separazione di fatto delle due sponde dello Stretto di Taiwan, tenendosi alla larga dalla dichiarazione di indipendenza. Che per Pechino è la linea rossa, invalicabile. Ma il consolidamento della democrazia a Taipei, sempre più vicina agli Usa e all'Occidente a dispetto dell'assenza di rapporti ufficiali, ha aggiunto ansia e fretta allo stesso Xi, convinto che il dossier Taiwan non possa essere lasciato alle "generazioni future". Nel suo intervento di 30 minuti, Lai ha citato lunedì 31 volte la parola democrazia, assicurando che "è chiaro a tutti che la Repubblica di Cina e la Repubblica popolare cinese non sono subordinate l'una all'altra". Vista da Pechino, la rivendicazione del nome ufficiale di Taiwan, ha fornito il pretesto per l'"operazione punitiva". Per dare vita, considerate le premesse, all'inizio di un nuovo ciclo di pressione.