007: ‘La distruzione di Hamas non è vicina come sostenuto Netanyahu’. Colloqui al Cairo
Gli Stati Uniti avvertono Israele: un'operazione di terra a Rafah, dove sono stipati centinaia di migliaia di sfollati, sarebbe "un disastro". L'ennesimo scontro tra l'amministrazione di Joe Biden e il governo di Benyamin Netanyahu si consuma sull'operazione militare che lo Stato ebraico - fallite al momento le trattative con Hamas per il rilascio degli oltre 130 ostaggi ancora a Gaza - si appresta a lanciare verso la città del sud della Striscia, a ridosso dell'Egitto. "Ogni grande operazione a Rafah ora", con oltre un milione di palestinesi che vi si rifugiano, "sarebbe un disastro e non la sosterremmo. Senza un'appropriata pianificazione, non la appoggeremmo", hanno affermato senza giri di parole il portavoce del Consiglio della sicurezza nazionale John Kirby e il vice portavoce del Dipartimento di Stato Vedant Patel il giorno dopo l'ennesima missione di Blinken nella regione che si è risolta in un frustrante nulla di fatto. E Patel ha aggiunto che Washington "non ha ancora visto alcuna prova di una seria pianificazione per un'operazione del genere".
Mentre l'intelligence americana - malgrado Netanyahu sostenga che la vittoria totale e la distruzione di Hamas sia ad un passo - ha riferito al Congresso che Israele ha sì indebolito le capacità della fazione islamica ma non è affatto vicina alla sua eliminazione. I funzionari americani, secondo quanto riferito dal New York Times, hanno anzi sollevato dubbi sul fatto che la distruzione di Hamas sia "un obiettivo realistico".
Da giorni comunque Israele ha intensificato i raid su Rafah in vista dell'operazione di terra preannunciata da Netanyahu dopo aver respinto "le irricevibili" richieste avanzate da Hamas per la liberazione dei rapiti. Mercoledì sera, secondo la Wafa, "almeno 14 persone e altre decine sono rimaste ferite" in uno di questi raid. Rafah è poco più a sud di Khan Yunis, roccaforte tra le principali di Hamas nella Striscia, dove si consumano da giorni combattimenti ravvicinati tra soldati e miliziani della fazione islamica.
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Partita di calcio nel campo profughi di Rafah
A breve distanza dal confine egiziano, la città con il suo valico è il fondamentale punto di ingresso per gli aiuti umanitari destinati alla popolazione di Gaza, spostatasi in massa dal nord e dal centro verso l'ultima città della Striscia. Ma Rafah è importante anche dal punto di vista militare: il portavoce israeliano ha sottolineato che da lì sono state lanciate diverse salve di razzi verso il centro di Israele, Tel Aviv compresa; e dalla città si snoda il cosiddetto ‘Corridoio Filadelfia’, una striscia di terra parallela all'Egitto sotto la quale corrono tunnel che permettono di superare il confine, spesso usati per il contrabbando di armi.
L'Egitto, invocando il Trattato di pace del 1979 tra i due Paesi, ha ammonito Israele a non spingersi in quella direzione ed ha irrobustito le strutture di separazione, anche con l'obiettivo di impedire agli sfollati palestinesi - pressati dalla guerra - di passare dall'altra parte, ovvero nel Sinai. Un'offensiva a Rafah - a giudizio di alcuni analisti - potrebbe rappresentare una rottura drammatica dell'equilibrio diplomatico tra i due Paesi. Una prospettiva che preoccupa non poco Washington.
Se le trattative negoziali sono attualmente al palo, un barlume di speranza resta acceso al Cairo. Una delegazione di Hamas guidata dall'esponente di spicco Halil al-Khaya è arrivata nella capitale egiziana per "completare i colloqui relativi al cessate il fuoco". La delegazione è giunta dal Qatar, uno dei mediatori - insieme a Usa e Egitto - dell'accordo quadro elaborato a Parigi che non si è concretizzato per il veto di Israele alle richieste di Hamas.
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Gli aiuti umanitari
Quanto i colloqui ripresi al Cairo possano far superare lo stallo in corso - soprattutto sulla richiesta della fazione islamica di un cessate il fuoco permanente e del ritiro totale dell'Idf dalla Striscia - resta un'incognita. Nonostante questo, il segretario di Stato Usa Antony Blinken - in un incontro con le famiglie degli ostaggi, che oggi sono tornate a manifestare nel centro di Tel Aviv chiedendo la liberazione dei loro congiunti e attaccando la politica di Netanyahu - ha mostrato un tono di cauto ottimismo. Per risolvere il dossier ostaggi, Israele - secondo esponenti senior a Gerusalemme citati da Nbc News - sarebbe disposto a lasciare che Yahya Sinwar vada in esilio. La tensione intanto continua a crescere anche a nord: dal Libano degli Hezbollah sono arrivati decine di razzi, Israele ha risposto uccidendo un comandante locale della fazione alleata dell'Iran.