Estero

Abusi al Preseminario, prete comasco condannato in appello

Il sacerdote era stato assolto in primo grado per il caso degli abusi sessuali sui ‘chierichetti del Papa’ nella struttura gestita dalla diocesi di Como

Due chierichetti servono Messa
(Keystone)
24 gennaio 2024
|

Per la prima volta in Vaticano viene pronunciata una sentenza di condanna per abusi riguardante atti commessi nello stesso territorio del piccolo Stato. È quanto accaduto ieri, 24 gennaio, essendo stata ribaltata in secondo grado la sentenza che solo nell'ottobre del 2021 aveva prosciolto un sacerdote comasco all'epoca dei fatti allievo del prestigioso Preseminario San Pio X, quello in cui studiano i chierichetti che servono la Messa del Papa: il presbitero era accusato di atti sessuali su un altro allievo. La Corte d'Appello presieduta da mons. Alejandro Arellano Cedillo ha dichiarato invece il sacerdote colpevole del reato di corruzione di minore, anche se "limitatamente al periodo dal 9 agosto 2008 al 19 marzo 2009", condannandolo a due anni e mezzo di reclusione.

Esulta la difesa della vittima, minorenne all'epoca dei fatti: "Si tratta di una sentenza storica", afferma l'avvocato Laura Sgrò, "dopo tanti anni non solo sono stati riconosciuti i fatti ma anche evidentemente il patimento e il dolore del mio assistito che ha potuto avere giustizia".

La vicenda è quella degli abusi al Preseminario San Pio X, allora collocato in Palazzo San Carlo, praticamente adiacente alla Domus Sanctae Marthae dove alloggia il Papa e successivamente trasferito fuori dal Vaticano per volontà dello stesso Pontefice: l'istituto è legato alla diocesi di Como, che lo gestisce attraverso l'Opera don Folci.

La vicenda era emersa non solo per le accuse della vittima, ma anche per quelle di un ex alunno polacco, testimone oculare delle violenze che aveva deciso di venire allo scoperto anche attraverso interviste televisive. Nel corso del primo dibattimento, la difesa dell'imputato aveva cercato di sostenere che le accuse fossero infondate in quanto partite proprio dopo l'espulsione di quest'ultimo dal Preseminario, e con le quali avrebbe cercato così una "vendetta". L'appello, invece, promosso dal promotore di giustizia aggiunto, Roberto Zannotti, in parziale riforma della sentenza di primo grado, si è espresso per una condanna andando a costituire anche un importante precedente per la giustizia vaticana.

Come si legge nel dispositivo, il sacerdote è stato riconosciuto "non punibile limitatamente ai fatti contestati fino al 2 agosto 2008, in quanto minore di anni sedici"; ma in base alla "riqualificazione dei fatti in contestazione quali integrativi del delitto di corruzione di minore", limitatamente al periodo dal 9 agosto 2008 al 19 marzo 2009, "colpevole del reato di corruzione di minore, previsto e punito dall'art. 335, comma 1 e 2". Gli è stata quindi inflitta una pena complessiva "di due anni e sei mesi di reclusione e mille euro di multa". A conclusione del processo di primo grado, durato quasi un anno, il 6 ottobre 2021 erano stati prosciolti sia il prete, allora accusato di violenza sessuale, sia l'ex rettore del Preseminario, accusato di favoreggiamento. I pm vaticani avevano chiesto sei anni di reclusione per il presbitero, oggi trentunenne ma per il periodo iniziale dei fatti minorenne, e quattro anni per l'ex rettore oggi settantatreenne. Entrambi i sacerdoti sono incardinati nella diocesi di Como.

Il Tribunale di primo grado, presieduto da Giuseppe Pignatone, aveva stabilito che "debbano ritenersi accertati i rapporti sessuali, di varia natura e intensità, tra l'imputato e la persona offesa" e invece "difetta la prova per affermare che la vittima sia stata costretta a detti rapporti dall'imputato con la contestata violenza o minaccia". Per i reati commessi invece prima del 9 agosto 2008, il sacerdote era stato dichiarato "non punibile", in quanto minore di 16 anni. Era scattata poi la prescrizione per il reato di corruzione di minore. I fatti oggetto del processo sono avvenuti tra il 2007 e il 2012, ai danni della vittima, compagno di Preseminario di sette mesi più giovane dell'imputato.