Grande industria

Dietro lo smartphone una catena di abusi e sfruttamenti

Sottopagati, vessati e costretti a turni massacranti. Questo accade ai lavoratori delle fabbriche cinesi di apparecchi elettronici

In sintesi:
  • Lo sostiene un rapporto pubblicato dalla Ong elvetica Solidar Suisse
  • L'indagine è stata condotta negli stabilimenti che producono per multinazionali di primo piano quali Apple, HP, Lenovo e altre ancora
Il lato oscuro oltre lo schermo
(Keystone )
10 novembre 2023
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I lavoratori che, nelle fabbriche cinesi, fabbricano gli smartphone che vengono poi comprati dai consumatori svizzeri e gli iPad che finiranno presto sotto l'albero di Natale sono vittime di gravi abusi: ricevono solo le briciole del successo a cui vanno incontro i grandi marchi di riferimento, sono sottopagati nonché sfruttati, e vengono sottoposti a vessazioni morali e sessuali.

Lo sostiene un rapporto pubblicato venerdì dell'organizzazione non governativa (Ong) elvetica Solidar Suisse, che ha lavorato in collaborazione con l'associazione di difesa dei diritti dei lavoratori China Labor Watch.

Quest'ultima ha condotto un'inchiesta presso gli stabilimenti che producono per multinazionali di primo piano quali Apple, HP (fino al 2015: Hewlett-Packard), Lenovo e altre ancora. Concretamente sono stati analizzati i messaggi che i dipendenti si scambiano sulle popolari reti sociali, sono state raccolte testimonianze relative a 50 fabbriche, sono state passate al setaccio quattro grandi unità produttive e in due stabilimenti – Foxconn di Chengdu e Pegatron di Kunshan, che riforniscono in particolare Apple – China Labor Watch ha anche usato inquirenti infiltrati.

Il quadro che ne esce, a detta degli estensori del rapporto, è desolante. In primo luogo sta prendendo fortemente piede il "gig manufacturing", cioè il lavoro su chiamata: le aziende del settore dell'elettronica assumono la maggior parte del personale su base temporanea. In vista di grandi eventi come il Black Friday gli ordini nelle megafabbriche aumentano vertiginosamente: esse assumono quindi personale temporaneo e a breve termine, poi quando gli ordini calano il personale viene licenziato.

Ci sono poi i salari bassi, gli straordinari estremi, il lavoro molto intenso: gli stipendi pagati nelle fabbriche sono così miseri che il personale non può vivere senza fare straordinari smisurati. È normale lavorare almeno 250 ore al mese e tra le 11 e le 14 ore al giorno, spesso senza un solo giorno di riposo. Le pause brevi, l'alta intensità di lavoro e le lunghe giornate lavorative spingono le persone sull'orlo dell'esaurimento.

Molto diffuso è il fenomeno dei furti in busta paga: non vengono pagati i contributi previdenziali e le agenzie di reclutamento derubano i lavoratori dei bonus loro promessi. Vi è poi l'impiego illegale di stagisti: agli studenti vengono imposti straordinari e lavoro notturno, in attività che non hanno nulla a che fare con gli studi, una forma di lavoro forzato. A tutto questo si aggiungono poi, per l'insieme del settore, la pratica degli insulti, delle offese e delle punizioni da parte dei superiori, che sono all'ordine del giorno. Diffuse – sempre stando al rapporto – sono anche le molestie sessuali, che rimangono generalmente impunite.

Quale l'impatto di tutto questo in Svizzera, Paese in cui ogni anno un'economia domestica spende in media 1’100 franchi in elettronica? La seconda parte del documento di Solidar Suisse si concentra sulle catene di distribuzione che vendono i prodotti in questione nella Confederazione. In che misura aziende quali Digitec Galaxus, Manor, Melectronics e Interdiscount, tra le altre, si assumono le loro responsabilità e stabiliscono la trasparenza nelle loro catene di fornitura? I risultati dell'indagine sono negativi: sebbene i rivenditori impongano delle direttive, le relazioni sui controlli effettuati e sui risultati sono scarse o inesistenti. "I consumatori elvetici non sono in grado di conoscere le condizioni di produzione delle apparecchiature elettroniche che acquistano", riassume la Ong.

In concomitanza con la pubblicazione del rapporto Solidar Suisse lancia una petizione per chiedere ai rivenditori svizzeri di assumersi le proprie responsabilità. Tre le richieste principali: rinunciare alle battaglie degli sconti, esigere trasparenza lungo tutta la catena di fornitura dei produttori e approfittare della loro posizione per agire subito, onde migliorare le condizioni di lavoro nella produzione di dispositivi elettronici.

Solidar Suisse trae le sue origini dal Soccorso Operaio Svizzero fondato nel 1936 dall'Unione sindacale svizzera e dal Partito socialista (Ps), una delle prime organizzazioni elvetiche a fornire cooperazione allo sviluppo e aiuto umanitario. Dal 2005 il dipartimento estero del Soccorso Operaio Svizzero è diventato un'organizzazione indipendente che nel 2011 ha assunto il nome di Solidar Suisse. L'associazione, oggi attiva con 60 progetti in quattro continenti, lotta contro le disuguaglianze estreme e per ottenere condizioni di lavoro dignitose, partecipazione democratica e giustizia sociale.

Va anche precisato che le organizzazioni regionali del Soccorso Operaio Svizzero – fra cui Sos-Ticino – sono enti indipendenti e non sono state toccate dal cambiamento di nome del 2011: hanno continuato le loro attività locali in favore dei disoccupati e dei migranti.