Lo storico passaggio alle semifinali dei mondiali del Marocco, e l’incontro con un ragazzo delle escludenti periferie parigine
Non è difficile, ma posso solo immaginarti Yousef. Nella notte del tuo sogno realizzato.
Adesso avrai sui trent’anni, la tua famiglia marocchina, tu ‘terza generazione’, allora (ma credo ancora) fanatico di calcio e di Zinédine Zidane, l’eroe in realtà di origini algerine, ma che importa se vi rappresentava tutti o quasi, voi giovani arabi e ‘beurs’, che stavate a due passi dallo Stade de France.
Ti avevo incontrato a fine ottobre 2005, nella banlieue in fiamme, ultima grande rivolta delle ‘cités’ (fa più nobile che ‘periferia’), fra i casermoni bianchi, tutti in fila, stretti, i bucati perennemente stesi sui balconcini, troppe ragazze già velate o altrimenti minacciate, e nei cortili convivenza non particolarmente armoniosa con quelle che chiamavi le ‘tribù africane’, che magari nemmeno tu sapevi di esserlo, africano. Ribellione rabbiosa, scontri durissimi con la polizia, auto e pneumatici in fiamme, barricate improvvisate e improbabili. Nicolas Sarkozy, ministro degli interni, aveva promesso di ‘ripulire’ quelle periferie ghettizzate e ribelli col Kärcher (popolare pulitore a vapore), e senza troppi riguardi. Ripulirle e liberarle da voi ‘vauriens’, da voi teppistelli. Per conoscerti, Yousef (e feci finta di credere che quello fosse veramente il tuo nome), la solita trafila, col timore che si rivelasse fatica inutile: lunga ricerca di un mediatore culturale, lungo colloquio per convincerlo, lunga attesa e finalmente la buona notizia. Mi avresti parlato tu, Yousef. Condizioni da te imposte: tu viso coperto, dentro un piccolo garage, amici tuoi e mascherati tutt’intorno, niente foto e niente video, nessuna domanda sull’Islam, e soprattutto sulla tua famiglia.
Sì, posso immaginarti nella notte del tuo sogno realizzato. La nazionale del Marocco, i ‘leoni dell’Atlante’, che per la prima volta nella storia portano una nazionale nordafricana, e africana, in una semifinale mondiale. Quella sera, un po’ nervosi, non parlammo certo di football. Ma quasi ‘banalmente’ dell’origine della vostra rabbia, anche violenta. La scuola (‘docenti razzisti’); il lavoro (‘e chi lo avrà mai?’); l’integrazione (per risposta solo risate); la polizia (‘noi capiamo che qui ha anche paura di entrare’); le ragazze della banlieue sempre più insultate e minacciate se non portano l’hijab (‘balle’); le lotte fra gang (‘inevitabili, devono stare al loro posto’).
Yousef, mi è successo di pensarti anche quando le banlieues delle grandi città francesi (insieme a Bruxelles) venivano indicate (e in parte lo erano) come luoghi di radicalizzazione (insieme alle carceri) e di reclutamento degli islamisti fanatici, seguaci del Daesh, che si lanciarono nel novembre 2015 contro la redazione di Charlie Hebdo, contro un supermercato kosher per la comunità ebraica, contro il teatro Bataclan, bersagliando spettatori giovani e inermi di un innocente concerto rock. Stragi. Anche nell’assalto allo Stadio di Saint-Denis. Non so se gioisti, spero di no. Nemmeno so se e come sei cambiato, come è stata la tua vita nell’ultimo decennio, se sei riuscito a fuggire dalla tua periferica esistenza (‘ma non per andare in Marocco, che conosco solo per un paio di brevi vacanze’).
Ma posso immaginarti nella notte festosa, febbricitante nel tuo sogno sportivo compiuto. Vittoria della nazionale marocchina formata per quasi metà da giocatori nati in Europa come te; allo stadio del Qatar (arabo come te) l’allenatore ha voluto anche le mamme dei suoi calciatori, le mamme velate e orgogliose in mezzo al campo della vittoria su Cristiano Ronaldo, le mamme dell’immigrazione e dei turni delle pulizie serali o notturne in bar e alberghi, le mamme che hanno anche cercato di tenervi lontani dai guai, magari incredule che inseguendo un pallone ci fosse una speranza, o una via di scampo.
Quante bugie mi avrai rifilato, Yousef, l’unica volta che ci parlammo, nella lontana notte della rivolta? Immagino non poche. Per esempio (e facesti uno strappo alle regole che tu stesso avevi fissato) che nella tua Cité, di cui conoscevi ogni anfratto, non c’erano piccole moschee improvvisate e clandestine dove imam improvvisati incitavano alla ribellione con parole infiammate. Per esempio negasti che nei weekend uno dei vostri sport preferiti fosse di andare in centro (Champs-Elysées e dintorni) per disturbare e inquietare quelli della ‘bella vita’. Oggi negheresti anche che gli emiri del Qatar questo mondiale che ti esalta se lo sono letteralmente comprato a suon di petrodollari, come conferma lo scandalo degli ‘eurosocialisti’ scovati con le borse piene di quattrini della corruzione. Ma che te ne importa, e lo capisco, se il risultato è che nei faraonici stadi (poi destinati a cosa?) fra mare e dune desertiche ti stanno regalando l’impensabile impresa della tua nazionale? L’impresa, titolano tutti i giornali, che è una rivalsa, un miracolo, un sovvertimento, addirittura – hanno scritto – una specie di muro sportivo di Berlino che crolla, che lascia passare e omologa un calcio (anche una società? anche un mondo? anche una cultura?) che sentiva l’esclusione dal grande spettacolo ‘più bello del mondo’ (anche quando chi lo dirige e regola è sporchissimo). E accade che un marocchino più o meno della tua età giochi nel Bari della serie B italiana, ma finisca fra le quattro nazionali più forti al mondo (e magari non è nemmeno finita).
Ti penso, Yousef. E ti ho pensato specialmente quando, durante il suo primo mandato, il presidente Macron ordinò un’indagine socioeconomica delle Cités. Ne uscirono risultati impressionanti di abbandono da parte dello Stato (troppa disoccupazione giovanile, poco inserimento socioeconomico), suggerì un radicale cambiamento di rotta per farle uscire da quella situazione (quindi non mi avevi mentito sull’essenziale, Yousef), e poi non ho sentito più nulla. Ti immagino sfinito dopo la lunga notte in cui tutto ti è forse sembrato migliore. ‘Forse’, visto che ti ricordo ragazzo sveglio e difficile da ingannare. ‘Forse’ sai che chi scrive di ‘svolta valoriale e di riscatto’ non la racconta giusta. ‘Forse’ sai anche che tra gli entusiasti poeti di oggi pochissimi sono stati in una periferia francese, di quelle che bruciano spesso nelle notti di festa di fine anno. ‘Forse’ temi più di me che sia solo un lampo di intensa felicità per un successo storico, benché sportivo, fatto non con jihad e scomuniche, ma con un pallone.
Infine ti ho pensato sperando che la vostra sia festa autentica. Giocosa e non avvelenata. Che non succeda quel che accadde a Bruxelles dopo la vittoria marocchina sul Belgio, con scontri con la polizia a Molenbeek, il quartiere della grande immigrazione magrebina. Né che accada ciò che è successo a Verona, la città che ha la curva dello stadio più reazionaria-fascista-neonazista d’Italia, dove i ragazzi marocchini in festa sono stati presi a sprangate da gentaglia d’estrema destra con la bava alla bocca per l’invidia e chissà quali altre paure.
Siate saggi, Yousef, soprattutto ora che vi preparate alla sfida con l’ex potenza coloniale, la Francia, ‘les bleus’, nazionale anch’essa fatta da tanti altri figli dell’immigrazione (disse sprezzante Le Pen padre: ‘Non capisco perché si festeggi la vittoria ai mondiali, era una squadra africana e non la Francia’). Sii saggio, tu che evitasti di parlarmi dell’Islam vissuto, anche per recuperare un’identità, nei vostri ghetti. Ricordati che il re del tuo Marocco è considerato un discendente in linea diretta del Profeta. Mica vorrai rovinare a entrambi la storica soddisfazione.
Questo contenuto è stato pubblicato grazie alla collaborazione con il blog naufraghi.ch.