Il dipartimento di giustizia lo incalza a un mese dalle elezioni di Midterm
Donald Trump di nuovo nel mirino degli inquirenti Usa. Il dipartimento di Giustizia è convinto che il tycoon non stia collaborando con le indagini sui documenti presidenziali e che non abbia consegnato tutte le carte che aveva preso dalla Casa Bianca e portato nella residenza di Mar-a-Lago. La rivelazione, pubblicata dal New York Times, arriva a meno di un mese dalle elezioni di Midterm e rischia di pesare sulla corsa dei protégés dell’ex presidente e una sua eventuale ricandidatura.
È stato Jay I. Bratt, il capo del controspionaggio al dipartimento, a comunicare agli avvocati di Trump, nelle scorse settimane, lo scetticismo della Giustizia americana rispetto alla trasparenza e alla disponibilità del tycoon sulla vicenda documenti presidenziali che, secondo la legge, alla fine di ogni mandato devono essere affidati agli archivi di Stato.
L’intervento dell’alto funzionario, riferiscono le fonti, ha creato una spaccatura nel team legale dell’ex presidente tra chi gli ha consigliato di assumere un atteggiamento più conciliante e coinvolgere uno studio esterno nella ricerca dei documenti e chi invece ha esortato il presidente a restare combattivo.
Alla fine hanno avuto la meglio i falchi e quindi si preannunciano settimane calde da qui al voto dell’8 novembre con l’ex pronto a un nuovo aspro confronto con il dipartimento ed, eventualmente, ad annunciare la sua ricandidature alla Casa Bianca dopo le elezioni di metà mandato.
Non è la prima volta che il governo esprime il dubbio che Trump non abbia riconsegnato tutti i documenti. Poco dopo il blitz dell‘Fbi nella residenza in Florida, lo scorso agosto, era emerso che i federali, oltre ai 300 documenti classificati, avevano trovato anche una quarantina di cartelline vuote sia nello studio dell’ex presidente che nel magazzino della villa. Su tutte la scritta ‘top secret’ e su alcune di esse anche la dicitura ’da riconsegnare a personale militare’.
Alcuni dei documenti recuperati dall’Fbi (Keystone)
Ora non è chiaro se il dipartimento di Giustizia abbia ottenuto nuove prove del fatto che il tycoon si sia tenuto qualche documento classificato e lo abbia nascosto a questo punto, in un luogo diverso da Mar-a-Lago. Qualche giorno fa il Washington Post aveva rivelato che all’inizio di quest’anno, dopo aver finalmente accettato di restituire 15 scatole di documenti presidenziali, Trump chiese a uno dei suoi avvocati di assicurare agli archivi nazionali che tutto era stato riconsegnato ma lui si rifiutò perché non era convinto che fosse la verità.
Alex Cannon, questo il nome del legale che in passato aveva lavorato alla Trump Organization, era stato colui che aveva mediato tra il tycoon e gli Archivi per 18 mesi e quindi si presume avesse una conoscenza diretta della questione anche se secondo alcune fonti non ha mai passato in rassegna le scatole "imballate direttamente" da Trump. Sta di fatto che dopo il suo rifiuto l’avvocato è stato silurato dall’ex presidente e sostituito con Evan Corcoran che, convocato dal dipartimento di giustizia lo scorso maggio, ha assicurato che tutto il materiale "rilevante" era stato restituito. Evidentemente qualcuno al dipartimento di giustizia non gli ha creduto.