Portato da Gibuti al Regno Unito con una falsa identità in un traffico di bambini: ‘Costretto a fare il domestico senza poter studiare’
Mo Farah è lo sportivo più popolare del Regno Unito, Mo Farah ha vinto 4 ori olimpici e 6 Mondiali di atletica, Mo Farah è una leggenda del mezzofondo, Mo Farah detiene un record del mondo e uno europeo. Mo Farah è un simbolo dell’integrazione, Mo Farah è stato nominato Sir dalla regina Elisabetta. Mo Farah, nel 2016, aveva girato un film sulla sua vita, ma non era davvero la sua. Mo Farah non si chiama Mo Farah, ma Hussein Abdi Kahin.
Il nome ce lo portiamo in dote fin dalla nascita, così come il nostro corpo, che però muta. Mentre il nome non cambia quasi mai, e se cambia, cambia per nostra scelta. Hussein Abdi Kain, cresciuto senza padre (ucciso quando lui aveva 4 anni) nella regione separatista del Somaliland, in Somalia, non ha potuto scegliere se diventare o no Mo Farah.
Un giorno – quando aveva 9 anni – l’hanno prelevato dalla casa di Gibuti dove era stato trasferito dalla famiglia, messo su un aereo e gli hanno dato un passaporto in mano che non era il suo. Quando è atterrato nel Regno Unito credeva di andare incontro a una vita migliore, invece si è ritrovato schiavo, vittima di un traffico di bambini di cui probabilmente si conosce solo la punta dell’iceberg.
Donne del Somailand, la terra contesa dov’è nato Mo Farah (Keystone)
Il suo nuovo Paese, quello che gli ha dato la gloria solo dopo avergli fatto vivere la più beffarda delle umiliazioni, viene dichiarato di "Livello 1" nel Tip (Trafficking in persons) Report, quello che monitora il traffico di essere umani, eppure i numeri – tutti ufficiosi – sono paurosi ancora oggi. Difficile immaginare cosa accadesse all’inizio degli anni Novanta, quando è arrivato lui.
I calcoli dell’Nrm (National Referral Mechanism, associazione governativa che si occupa della moderna tratta degli schiavi) sono i più attendibili, eppure loro per primi dicono che sono cifre al ribasso. Nel 2021 le potenziali vittime sarebbero salite da 5.028 a 5.468, un aumento del 9 per cento. Dopo le indagini in 9 casi su 10 si riesce a confermare il sospetto iniziale: si tratta di traffico di bambini (perlopiù maschi).
La bugia che si è portato dentro fino al nuovo film sulla sua vita (intitolato "The Real Mo Farah", in uscita), quello senza menzogne e senza filtri, non l’aveva inventata lui, ma la donna a cui era stato affidato, che non aveva mai visto prima e che gli fece stracciare il foglietto con i contatti della sua famiglia una volta arrivato a destinazione.
Aveva 9 anni eppure aveva subito capito di essere finito in un guaio, lui che tra i guai aveva campato fin da neonato. Farah venne così costretto a lavorare come domestico tuttofare in cambio di un pasto caldo al giorno: niente di più. "Appena entrati nella casa mi hanno strappato di mano il foglietto con l’indirizzo dei miei parenti", ha detto il campione alla Bbc, ricordando come negli anni a seguire si è dovuto occupare delle pulizie e di altri bambini. Tutto questo sotto la minaccia costante di non dire nulla a nessuno.
L’esultanza dopo la vittoria a Barcellona nel 2010 (Keystone)
Solamente tre anni più tardi – quando avrebbe spento le 12 candeline, se solo qualcuno gli avesse preparato una torta – gli fu concesso di frequentare una scuola. Ma l’inglese lo sapeva poco e male: "Ero un emarginato, stavo sempre solo. Non avevo amici, nessuno con cui parlare". La svolta arriva quando – due anni più tardi – viene finalmente affidato a un’altra famiglia, di origine somala. "Lì mi sono sentito finalmente a casa. E anche a scuola è cambiato tutto, perché gli insegnanti si sono accorti che correvo più veloce di tutti. Insomma, mi ha salvato la corsa".
Ma Farah non è solo bravo a correre, è il più bravo. Nel 2001, a 18 anni, vince i 5mila metri negli Europei juniores e non si ferma più. La vita diventa normale, quella di un atleta professionista che gira il mondo, guadagna abbastanza da permettersi una vita agiata, si innamora e poi si sposa, nel 2010, lo stesso anno in cui vince i suoi primi Europei, a Barcellona: una doppietta sui 5 e 10mila metri. Non sarà l’ultima.
L’anno dopo diventa per la prima volta campione del mondo, a Taegu, in Corea del Sud, nei 5mila metri (nei 10mila dovrà accontentarsi dell’argento). Arriva ai Giochi di Londra 2012 da favorito: la sua è una storia di integrazione: un rifugiato. Elegante, sorridente, disponibile: è il volto perfetto per diventare uno spot dell’integrazione. Ma solo lui sa quello che ha passato. Vince, stravince, sia sui 5 che sui 10 mila metri. Diventa uno dei nomi più importanti dell’atletica leggera. Eppure il nome non è il suo. Riceve anche l’onorificenza di Sir, come i Beatles, come Sean Connery, Alfred Hitchcock e Conan Doyle. Farà il bis olimpico nel 2016 a Rio. Nel frattempo, tramite alcune donne della comunità somala londinese ritrova la madre.
Con la moglie dopo aver ricevuto il titolo di baronetto a Buckingham Palace (Keystone)
I tabloid inglesi, che cercano il torbido anche in una storia già abbastanza infangata come la sua, dicono che ora – in seguito alla sue rivelazioni – potrebbe perdere il titolo e anche la cittadinanza britannica. Ovviamente non sarà così, per mille motivi (in primis è davvero lo sportivo sia più famoso che amato del Regno, nettamente davanti al tennista Andy Murray e al tuffatore Tom Daley). Motivo? Avrebbe mentito sulla sua identità: aveva 9 anni, era diventato il domestico di una famiglia che avrebbe potuto annichilirlo. Lui lo dice, mostrando di voler mettersi in testa al gruppo, questa volta non fatto di avversari, ma di bambini ed ex bambini che hanno vissuto la sua stessa esperienza: "La differenza tra me e le persone che hanno fatto il mio stesso percorso è stata che io sapevo correre. Altri sono stati meno fortunati. So di aver preso il posto di qualcun altro, mi chiedo spesso che fine abbia fatto il vero Mo Farah".
La sua classica esultanza (Keystone)