Il presidente populista scrive sul suo profilo Twitter ‘El dictador más cool del mundo mundial’. Un personaggio fuori dalle righe tra bitcoin, clientelismo e minacce
Il dittatore dello Stato libero dei bitcoin non si offende come chi l’ha preceduto, reagendo stizzito alle accuse di dispotismo, anzi se lo scrive da solo sul suo indaffaratissimo profilo Twitter: “Dittatore”. Una capriola dialettica che include lo sfottò, l’autoironia e pure parecchia verità. Da ieri Nayib Bukele, un uomo solo al comando di El Salvador, ha modificato la sua minibiografia social scrivendo “El Dictador más cool del mundo mundial”. Insomma, il dittatore più figo del pianeta. Con quel rafforzativo che chi parla spagnolo usa per mettere in chiaro le cose e allo stesso tempo sbeffeggiarle. Accanto ha piazzato un’emoticon della Terra, versione social della celebre danza di Chaplin-Hynkel-Hitler con il mappamondo ne “Il Grande Dittatore”.
Ha studiato marketing e psicologia per arrivare dov’è arrivato, Nayib Bukele, e si vede: parla da qualsiasi palco reale o virtuale, ingolfa i social e le tv salvadoregne di parole, cifre, risultati, promesse, cose che ha fatto, sta facendo o farà. È la teoria ipnotica della trottola, lasciala girare, finché va, tutti resteranno a guardarla: il trucco sta nel non farla fermare mai. E lui il trucco pare conoscerlo bene.
L’ora del selfie sul palco delle Nazioni Unite (Keystone)
Una volta si diceva, “bene o male, l’importante è che se ne parli”; qualcuno che ha fatto il dittatore molto prima di lui, ma con molto meno senso dell’umorismo (Mussolini), ha lasciato ai posteri la frase “molti nemici, molto onore”. Proprio ieri, mentre la gente di tutto il mondo si affacciava sul profilo Twitter di Bukele, lui rilanciava un video di pochi secondi dell’ex presidente Mauricio Funes, esiliato in Nicaragua, che - con addosso una guayabera azzurra - gli dà del bugiardo, del malato e del mitomane. Sotto partono i commenti in sua difesa, in una strategia già usata da tanti ricchi imprenditori diventati presidenti prima di lui, a partire dal capostipite Silvio Berlusconi in Italia fino a Donald Trump negli Stati Uniti: “Signore e signori, ecco i miei odiatori. Non li censuro, ve li mostro”.
Il vittimismo a quanto pare funziona. Bukele lo usa alternativamente al clientelismo, alle minacce e all’accordo sporco. Già, perché per fermare lo strapotere delle bande nel Paese ha percorso la strada più breve: non le ha contrastate, ma - stando al think tank International Group Crisis - avrebbe stretto con loro un accordo. Sarebbe stato troppo difficile combattere la potentissima organizzazione chiamata Mara Salvatrucha: meglio tenerseli buoni. In seguito a questo, dopo la sua elezione, avvenuta il 3 febbraio del 2019, Bukele ha snocciolato numeri che dimostrano come la criminalità nel Paese fosse diminuita, dimenticandosi che dopo l’annus horribilis 2015, i dati mostravano già un significativo calo.
Al capitolo minacce il caso più estremo è quello datato 9 febbraio 2020, quando, indispettito dall’atteggiamento dei deputati che si erano rifiutati di approvare un prestito da 109 milioni di dollari per finanziare un piano di sicurezza del governo, fece irruzione in Parlamento accompagnato da militari armati. Una sceneggiata continuata quando si è seduto sulla sedia del presidente del Parlamento e ha ordinato l’inizio della seduta per “diritto divino”. Poi è uscito per un bagno di folla tra i suoi sostenitori dicendo loro che se i parlamentari avessero votato no, li avrebbe convocati la domenica successiva e quella dopo ancora fino a organizzare un’insurrezione del popolo contro il Parlamento.
Con la moglie dopo l’elezione del 2019 (Kestone)
Clientelismo: niente di più facile. “Tu mi voti e io qualcosa ti do subito, qualcos’altro ti prometto”, lo faceva in Italia la mafia: la scarpa destra prima di entrare nell’urna, la sinistra a elezione avvenuta. Un reportage dell’Economist fuori dai seggi della capitale San Salvador spiegava in poche parole, con la voce di una donna in attesa di votare, cosa stava accadendo in quei giorni: “Bukele ci ha fatto avere pacchi di tonno e riso. E presto regalerà un computer ai miei figli”. In un Paese in cui tanta gente fa fatica a mettere insieme un pasto, tonno e riso possono convincere più di un vero programma elettorale”. I computer promessi da Bukele erano più di un milione, quanti ne siano davvero arrivati in questi due anni non è dato saperlo.
Nel frattempo, dopo le Presidenziali del 2019, quest’anno si è votato per il Parlamento: un altro trionfo per Nuevas Ideas, il movimento creato dal nulla da Bukele che ha spazzato via i due partiti che si erano divisi il potere dal 1992 (alla fine della guerra civile che devastò El Salvador): partiti, è bene dirlo, annegati nella loro stessa corruzione, che Bukele promette di combattere. Quella tornata elettorale è stata decisiva per consegnare il Paese in mano all’autoproclamato dittatore: ha preso talmente tanti voti da avere un Parlamento di appena 84 eletti, in cui ben 56 erano e sono dalla sua parte.
Gli scontri in strada nei giorni del caso bitcoin (Keystone)
A far parlare di Bukele, quest’estate, era stata la legge sui bitcoin, da lui fortemente voluta per dare un po’ d’ossigeno a un’economia boccheggiante di per sé e ancor di più dopo l’arrivo della pandemia. Nonostante qualche scaramuccia con la Banca mondiale e la rabbia della gente, scesa in strada a protestare, la legge sulla criptovaluta è passata, facendo diventare il bitcoin la prima moneta virtuale a corso legale.
La fantasia, ormai è chiaro, a Bukele non manca, anche quando ribadisce di essere il capo di Stato più amato del mondo, voce aggiunta anche su Wikipedia (che puntualizza, in assenza di fonti, “da chi?”). La gente però sta con lui. E anche i rivali politici gli danno atto di qualche merito: da sindaco di San Salvador (trampolino di lancio verso la presidenza) ha ripulito la città da rifiuti e criminalità, rendendola più vivibile, rilanciato l’economia. Il resto pare ai più un’improvvisazione continua, figlia di uno stile volutamente naif, come dimostrano la suo biografia Twitter e le uscite in giacca e cappellino da baseball girato a mo’ di rapper. A far discutere, nei giorni della sua elezione fu anche la questione religiosa: Bukele è infatti figlio di una cattolica e di un ricco uomo d’affari convertito all’Islam e diventato Imam. Lui, pizzicato a pregare in una moschea messicana, rispose di non sentirsi legato a nessuna religione, eppure di credere fortemente in Dio. E in se stesso. Nella sua testa, molto probabilmente, la stessa persona.
Un uomo protesta contro l’introduzione del bitcoin (Keystone)