Uccisi 22 miliziani in risposta ad attacchi a basi statunitensi in Iraq. Il Pentagono: azione ‘difensiva’ e ‘proporzionata’.
Washington – Joe Biden mostra i muscoli da commander-in-chief e ordina il suo primo raid militare lanciando un chiaro messaggio a Teheran sullo sfondo della possibile ripresa dei negoziati sul nucleare: un attacco aereo notturno contro postazioni di milizie sciite filo iraniane in Siria, sette bombe da 227 kg di esplosivo come azione "difensiva" in risposta ai tre recenti lanci di missili contro basi Usa in Iraq, che hanno ucciso un contractor filippino e ferito nove soldati americani.
Nello strike, avvenuto nella zona di confine con l'Iraq tra Al Qaem e Abu Kamal, sono morti almeno 22 miliziani, secondo l'Osservatorio siriano sui diritti umani. Distrutti anche alcuni edifici e tre camion carichi di munizioni che arrivavano dall'Iraq ad un posto di frontiera illegale a sud della città di Boukamal. I trasferimenti di armi al confine sono frequenti in questa zona, dove in passato ha colpito anche Israele, grande nemico di Teheran. Le vittime appartengono a due milizie sciite, Kataib Hezbollah e Kataib Sayyid al-Shuhada, entrambe aderenti alla coalizione paramilitare irachena Hashd al-Shaabi, un ombrello che raggruppa molti piccoli gruppi armati legati all'Iran.
‘Messaggio inequivocabile’
"L'operazione manda un messaggio inequivocabile: il presidente Biden agirà per proteggere il personale americano e della coalizione", ha ammonito John Kirby, il portavoce del Pentagono. "Nello stesso tempo però abbiamo agito in modo calcolato con l'obiettivo di allentare la tensione nella Siria orientale e in Iraq", ha precisato, parlando di un'azione "difensiva" e "proporzionata" in risposta ai recenti attacchi contro il personale americano e della coalizione in Iraq.
Lo strike però è stato messo a segno in Siria per non mettere in difficoltà il governo iracheno, con cui Washington vuole collaborare proprio per contenere le infiltrazioni iraniane. Kirby ha anche sottolineato che la mossa è stata accompagnata da "iniziative diplomatiche, comprese le consultazioni con i partner della coalizione" anti-Isis in Iraq e Siria. Un segnale di rinnovata cooperazione con gli alleati dopo l'unilateralismo dell'amministrazione Trump.
Mosca seccata
Berlino ha subito dato il suo appoggio all'intervento militare Usa in Siria, definendolo una reazione di autodifesa in risposta agli attacchi "inaccettabili" subiti dalla coalizione anti Isis in Iraq. Il blitz è stato invece condannato, con toni diversi, da Mosca, Pechino, Damasco e Teheran, che hanno denunciato la violazione della sovranità e dell'integrità territoriale della Siria. "Rifiutiamo ogni tentativo di trasformare la Siria in un'arena per regolare i conti sulla scena geopolitica", ha attaccato il ministero degli Esteri russo. "Un'aggressione che rappresenta un cattivo presagio delle politiche della nuova amministrazione americana, che dovrebbe aderire alla legge internazionale e non alla legge della giungla della precedente amministrazione", ha reagito il ministro degli Esteri siriano.
Molti analisti avevano letto i lanci di missili delle due ultime settimane contro i soldati Usa in Iraq, a partire da quello mortale del 15 febbraio alla base di Erbil, come il primo vero test sulla postura di Biden verso Teheran mentre il presidente tenta di resuscitare l'accordo sul nucleare. Il raid è un avvertimento che gli Usa non tollereranno provocazioni finalizzate ad aumentare il margine di manovra iraniano in caso di negoziati. Nello stesso tempo manda un segnale interno ai repubblicani, che accusano Biden di essere troppo debole verso la Repubblica islamica.