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Don Roberto Malgesini è stato colpito con 25 coltellate

Il numero è emerso nel corso dell’ultima udienza del processo in corso a Como, dove è intervenuto l’anatomopatologo Giovanni Scola

A Como, in piazza San Rocco
(archivio Ti-Press)
17 ottobre 2021
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Oltre allo squallido show del killer che ha giocato la carta dello smemorato (“don Roberto? Non lo conoscevo”) salvo poi essere smascherato dall’accusa, in occasione dell’ultima udienza che ha chiuso l’istruttoria processuale nell’aula della Corte d’Assise di Como, dove si celebra il processo per l’omicidio di don Roberto Malgesini, con le parole del perito anatomopatologo Giovanni Scola sono calati l’orrore e il dolore.

Il dolore che si è colto sul volto dei sei giudici popolari nel momento in cui si sono passati di mano le fotografie che Giovanni Scola ha scattato al corpo senza vita del sacerdote degli ultimi (un nuovo martire per papa Francesco) ucciso la mattina del 15 settembre dello scorso anno in piazza San Rocco a Como con venticinque coltellate (numero che si è conosciuto solo in questi giorni) da Ridha Mahmoudi, 53enne tunisino. L’orrore nell’apprendere che l’omicida ha infierito sulla sua vittima, come conferma il numero delle coltellate inferte anche dopo che don Roberto era a terra esanime e quindi non poteva difendersi. “Don Roberto è stato attinto da più colpi, ma una solo è stato quello mortale” ha spiegato con il suo linguaggio tecnico, le conclusioni a cui è giunto dopo aver svolto l’autopsia per chiarire le cause della morte e la dinamica del delitto. “La coltellata mortale è quella che ha raggiunto il sacerdote al torace sinistro e ha lesionato il polmone”.

Dopo essersi puntigliosamente soffermato sulla dinamica del delitto, per evitare ombre sulla volontà dell’omicida di uccidere la sua vittima (in nessuno momento il medico legale ha fatto il nome dell’omicida che definirlo presunto appare fuori luogo) Giovanni Scola ha affermato: “Ho registrato quello che appare come un sfregio nei confronti della vittima, quasi un tentativo di annullarne l’identità”. Ancora una volta, forse un linguaggio tecnico. Che tutti comunque hanno ben compreso. Si torna in aula il 28 ottobre, forse già per la sentenza che appare scolpita nella roccia. Dallo stesso imputato.

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