Confine

Mancano i ticinesi, commercio comasco in crisi

Complice lockdown e zone rosse, le vendite agli stranieri sono calate dell'80 percento. Ticinesi ‘scomparsi’ dai supermercati

archivio Ti-Press
30 dicembre 2020
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Rosso profondo per il distretto del commercio di Como che non può fare a meno degli svizzeri. O meglio dei ticinesi che, a causa della pandemia, sono diventati una sorta di panda. Le stringenti restrizioni durante il primo lockdown e le misure introdotte con le zone rosse, arancione e gialle a Como (ma anche nelle altre località comasche di confine punteggiate dai centri commerciali) hanno fatto calare una saracinesca in frontiera. Una situazione che a Como non si era mai vista. Basti dire che le vendite a straniere sono calate dell'80 per cento rispetto al 2019.

“Quei pochi clienti svizzeri che abbiamo visto dopo il lockdown, si trovavano già qui per altri motivi, di lavoro, per esempio” osserva Marco Cassina, presidente di Federmoda Como di Confcommercio, titolare di negozi di abbigliamento in città. I negozi del capoluogo lariano avevano puntato sul tax free shopping per la ripresa. Un tentativo finito nel vuoto. Continua Cassina: “Grazie a un software consentiamo alla clientela svizzera non pagare il 22% di Iva. Una volta in dogana farà vedere la documentazione, mentre l'8% di tasse viene pagato direttamente in Svizzera se i beni superano il valore di 300 euro”. A pagare un prezzo salato sono tutti i settori. Non solo quello dell'abbigliamento, ma anche quelli della ristorazione (meno 80%), dell'estetica (meno 85) e anche i supermercati, dove la clientela ticinese è praticamente scomparsa. “Quest'anno è davvero cambiato il mondo per tutti i settori, in particolare alcuni proprio strutturati per la clientela svizzera” motivo per cui, seconda Cassina, la politica dovrebbe muoversi per tutelare queste categorie, anche perché il distretto del commercio di Como dimostra di non poter farne a meno.