Nella località, prima scrutinata, hanno votato tutti gli abitanti: 3 per Trump, 3 per Harris. A conferma di quanto dicono i sondaggisti: sarà tirata
Il primo tentativo di voto dell’Election Day americano è stato irregolare per almeno un paio di motivi. Alle 23.51 di lunedì 4 novembre, Lucy è entrata in una cabina elettorale. Lucy però non poteva votare, perché mancavano ancora nove minuti alla mezzanotte. E, soprattutto, Lucy è un cane, razza Goldendoodle. Succede anche questo a Dixville Notch – un puntino sulla mappa del New Hampshire, non lontano dal confine col Canada – dove le elezioni sono sacre e profane, solenni e insieme genuine, con il procuratore generale venuto a controllare l’esito dello spoglio (rigorosamente in giacca e cravatta) seduto accanto a un vassoio di biscotti caldi appena sfornati.
Siamo in quel posto indefinito, tra l’alto e il basso, in cui l’America sguazza da sempre. Come indefinita è Dixville Notch, sul cui simbolo c’è scritto “town”, ovvero città, eppure una vera e propria città non è, ma una “incorporated community”: un luogo su cui nessun altro comune, distretto o contea ha il controllo. Qui, fino al 1960, nemmeno si votava. E per recarsi al seggio elettorale più vicino bisognava percorrere una ventina di chilometri. Poi, un giorno, l’eccentrico industriale Neil Tillotson parlò con un giornalista dell’Associated Press che gli raccontò di Hart’s Location, un’altra piccola comunità del New Hampshire che dal 1948 era riuscita a ottenere il permesso di aprire un proprio seggio.
Tillotson, un uomo d’affari d’altri tempi in grado di tirare su una fortuna inventandosi un nuovo modo più economico di creare palloncini (e altri prodotti in latex, come i guanti per uso sanitario), non solo riuscì a ottenere dalle autorità il permesso di istituire un seggio elettorale, ma fu pure capace di modellarci attorno una storia che ha permesso a Dixville Notch di entrare a far parte del grande racconto americano e sopravvivere alla morte del suo stesso inventore (sopraggiunta nel 2001 a 102 anni d’età), che per quarant’anni è stata il primo essere umano di tutto il Paese a mettere la propria scheda nell’urna.
Oggi a portare avanti questa tradizione c’è il figlio di Neil, Bob Tillotson, insieme alla moglie Deb. Con loro, altri quattro elettori: Annmarie Turcotte, i coniugi Scott e Valerie Maxwell e il milionario Les Otten, l’uomo che vuole trasformare l’area (da sempre meta di vacanza estiva, con il grande albergo dei Tillotson che non aveva nemmeno il riscaldamento, tanto in inverno era chiuso) nel più grande impianto sciistico del New England e che nel 2020 salvò Dixville Notch, rimasta all’epoca con solo quattro potenziali elettori: troppo pochi per la legge, che ne esige almeno cinque. Otten cambiò residenza, andando a vivere nel grande resort divenuto nel frattempo di sua proprietà (e oggi in ristrutturazione), The Balsams, riuscendo a iscriversi alle liste elettorali per tempo. Una storia che qui è vissuta un po’ come le sceneggiature di quei film dove il protagonista arriva e all’ultimo secondo salva il Natale.
Dixville Notch ha in comune con il Natale anche l’importanza della mezzanotte. “First in the Nation”, dice il cartello appeso dietro al bancone dove vengono registrati i voti dei sei abitanti della comunità. E per essere i primi di tutto il Paese ad aprire le urne e rendere pubblico l’esito non si poteva che chiedere di votare il prima possibile, e quindi allo scoccare della mezzanotte. Per poter aprire le urne, però, bisogna che abbiano votato tutti. Negli anni scorsi c’era una specie di corsa a chi faceva prima, in particolare con un’altra piccola località del New Hampshire, Millsfield, appena 25 abitanti, che però quest’anno ha deciso di dismettere il suo seggio.
R. Scarcella
Questa volta, quindi, si fa tutto con calma, a tal punto che quando, sulla tv dietro al pianoforte di casa Tillotson (nel cui salone si tengono le operazioni di voto) sintonizzata sulla Cnn compare la scritta “Ansia e stress: le ultime ore prima del voto”, diversi ospiti scoppiano in una risata. L’atmosfera, infatti, non potrebbe essere più tranquilla, con il tre volte campione del mondo di fisarmonica che suona un po’ di jazz al piano e tutti che chiacchierano amabilmente con tutti. In più, a creare allegria, ci sono i due cani di Otten: Lucy, quella a cui prenderà la smania di votare, e Max, un Golden Retriever che prova a piatire bocconi di cibo da chiunque. E ne ha tutte le ragioni, perché è tutto buonissimo: dalle capesante avvolte nel bacon al pulled pork, dalla clam chowder (la zuppa di vongole tipica del New England) ai biscotti della nonna. C’è anche un bidone di caffè. A indicarlo è Ben Hincher, “perché qui si farà tardi e un modo per restare svegli bisogna trovarlo”. Ben non vota a Dixville Notch, ma è lì in quanto membro del team di pubbliche relazioni del Balsams, il grande complesso che comprende ormai anche la casa di Tillotson. Per la serie ‘è piccolo il mondo’, Ben, nel 2017 ha studiato alla School for International Training di Ginevra e, complice lo Swiss Pass, ha viaggiato in Ticino, innamorandosene.
È lui, assieme a un gruppo di colleghi, ad accogliere la stampa, che è accorsa in massa (ci sono dieci giornalisti per ogni votante) per raccontare questo piccolo pezzo di elezioni americane che porta con sé significati ben più ampi di quel che sembra, e cioè niente più che un buon aneddoto o una domanda per impallinati di Trivial Pursuit (‘Qual è il nome del primo paese degli Stati Uniti in cui si vota?’).
R. Scarcella
A spiegare cosa porta in dote Dixville Notch è proprio Bob Tillotson: “Riunirsi tutti assieme, alla stessa ora, sotto lo stesso tetto e portare il 100 per cento degli aventi diritto di una comunità al voto è un esercizio di democrazia, che sembra il minimo, invece in molti se ne sono dimenticati. Siamo qui anche per ribadire l’importanza del voto, ciascun voto. Non sopporterei l’idea di non aver votato e poi ritrovarmi per quattro anni con un presidente che non corrisponde ai miei ideali”.
Gli fa eco Les Otten, che si definisce “ex repubblicano”. L’imprenditore è anche l’unico dei sei a dichiarare apertamente la propria preferenza (per Harris): “Io sono per la Costituzione e per i diritti, non per un presidente. Non per una sola persona. Nella mia vita ho sempre pensato che è un candidato che deve seguire me, non il contrario. Con Trump hai l’impressione che gli interessi sempre e innanzitutto di sé. E non va bene, come non va bene dividersi in questo modo esasperato. Ricordo bene gli anni di Clinton, in cui sono stati fatti grandi progressi sia economici che sociali. È potuto succedere perché in quel periodo repubblicani e democratici non si ostacolavano, ma lavoravano assieme per il bene della nazione”.
Quando mancano due minuti all’ora X, il fisarmonicista viene invitato a suonare l’inno accanto alla bandiera americana. Quattro dei votanti si mettono la mano sul petto. Qualcuno altro tra i capelli, visto che la performance è quantomeno discutibile (per quanto tra i presenti non ci fossero esperti di musica per fisarmonica, le orecchie le avevamo tutti). Dietro di loro, sul muro, tutt’intorno alla scritta “First in the Nation”, ci sono le foto di candidati del passato venuti in visita e scatti di vecchie votazioni. Una attira particolarmente l’attenzione: è stata scattata l’8 novembre 1960, la notte della prima volta. Nell’immagine, in bianco e nero, si vedono i nove elettori davanti a una scritta a pennarello “Dixville Notch, N.H.”. I cinque uomini dietro, a indicare la scritta. Le quattro donne davanti, con le due al centro che reggono i cartelli con il risultato: ‘Kennedy 0 - Nixon 9’. Alla fine vinse Kennedy.
Negli anni, Dixville Notch è stata sia repubblicana che democratica e ha portato al voto da 5 a 28 persone a seconda dei periodi. Non ha nessuna reputazione di luogo con doti divinatorie (qui si è votato per chi poi ha perso in quattro delle prime cinque elezioni) e numeri troppo bassi per essere un campione statistico rilevante, eppure a mezzanotte gli americani – a mo’ di rito – accendono la tv e vogliono vedere com’è andata. Si collega in diretta anche la Cnn con il suo anchorman Gary Tuchman. Inizia lo spoglio: Trump-Trump-Harris-Trump-Harris-Harris. Tre voti a testa. ‘It’s a tie’, dice Tillotson.
Un pareggio che conferma, a suo modo, quel che i sondaggisti vanno dicendo da tempo: sarà una sfida all’ultimo voto. Intanto, mentre qualcuno ha messo al collo del cane Max una cravatta con la bandiera americana, ci si affretta ad aggiornare, con il pennarello, il cartellone dei risultati scritto a mano, con quattro colori diversi e caratteri quasi infantili. Sembra un gioco, sono le elezioni più importanti e decisive per il futuro dell’America e del pianeta.
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