Un incontro casuale in un diner di Montgomery, in Alabama, un uomo che si è messo al servizio di Dio e degli altri nella città dei diritti civili
Ci sono incontri casuali che possono cambiarti la vita e altri che possono almeno svoltarti la giornata, spiegarti l’anima di un posto. Il 17 settembre del 1978 il giovane Ken Austin viaggiò in auto dall’Alabama in Carolina del Sud per un weekend insieme alla sorella, lì vide e si innamorò, corrisposto, di Thomasina. La sorella tornò indietro. Lui dopo cinque anni era ancora lì. Quasi mezzo secolo più tardi i due stanno ancora insieme, anche se nel frattempo la vita di quel ragazzino di strada, senza arte né parte, è cambiata: nel 2012, nel giorno del suo compleanno, Ken Austin ha sentito la chiamata di Dio durante un coro gospel, e ora è pastore e punto di riferimento dell’intera comunità di Montgomery, Alabama.
Questa storia, che è una storia di vita come tante, ma non proprio, la so perché me l’ha raccontata lui seduto su un divanetto di un diner di Montgomery e poi nella sua auto, nel suo ufficio, nel deposito della banca del cibo con cui aiuta le famiglie più povere della zona, dentro un vecchio studio tv che hanno regalato alla sua comunità e che ora deve capire come far funzionare, davanti alla casa dove viveva Martin Luther King, nel punto esatto in cui Rosa Parks fu fatta scendere dall’autobus e poi arrestata perché, il primo dicembre del 1955, si rifiutò di cedere il proprio posto a sedere a un uomo bianco.
R. Scarcella
La targa a ricordo del gesto di Rosa Parks, il primo dicembre 1951
Nel tipico diner americano senza fronzoli dove avevo iniziato la mia giornata, la colazione era stata ben al di sotto delle aspettative, eppure ero contento di essere lì, attirato dal magnetismo emanato da due uomini seduti a un tavolo dall’altra parte del locale: parlavano di lavoro e cose importanti, senza mai dismettere un sorriso umano, sincero e raro. Come se, al di là della serietà del dialogo, una parte di loro volesse ricordare a loro stessi e agli altri la gioia di essere al mondo. Li ho fotografati da lontano, poi, non contento, mi sono avvicinato e ho chiesto se potevo farlo da vicino. Si sono messi in posa e poi mi hanno chiesto di sedermi con loro, prima stupiti, poi allargando ancor più il loro sorriso. Così ho scoperto che Ken Austin era un pastore, il resto l’ho scoperto man mano, quando ho accettato l’offerta di farmi da cicerone per le strade di Montgomery, la città più importante d’America per i diritti civili.
Non solo il reverendo King ha tenuto qui – nella chiesa di Dexter Avenue – i suoi sermoni, ma a Montgomery è terminata la famosa e tormentata marcia per i diritti dei neri iniziata sul ponte di Selma, si è tenuto il grande boicottaggio dei bus durato più di un anno e iniziato il giorno del processo a Rosa Parks. Fu una delle più grandi e riuscite manifestazioni non violente della storia americana, in grado di portare – tra mille sacrifici – all’abolizione della segregazione razziale sui mezzi pubblici.
R.Scarcella-Keystone
Ken Austin con la prima pagina dell’allunaggio, King con la moglie e Rosa Parks schedata
E anche l’ennesima lezione per cui nessuno si salva da solo, e nessuno si salva standosene con le mani in mano. Come proprio King scrisse nella sua celebre “Lettera dal carcere di Birmingham”, città a poco più di un’ora da Montgomery dove il reverendo fu rinchiuso in seguito all’ennesima protesta per i diritti. La lettera era una risposta all’appello di otto religiosi, tutti bianchi (un ebreo, un cattolico e otto evangelici), che chiedevano che la battaglia per i diritti civili si combattesse solo nelle aule di tribunale e non nelle strade: “Sono anni che sento la parola ‘Aspettate!’. Risuona nelle orecchie di ogni negro; gli è acutamente familiare. Questo ‘Aspettate!’ ha quasi sempre significato ‘No, mai’”.
La lettera contiene una frase storica di King, il cui valore è universale e senza tempo: “Injustice anywhere is a threat to justice everywhere” (“L’ingiustizia in un luogo minaccia la giustizia in ogni luogo”).
R. Scarcella
La chiesa di Montgomery in cui predicava Martin Luther King
Austin è l’incarnazione di chi si batte contro ogni ingiustizia, senza pontificare di massimi sistemi, ma occupandosi delle persone in carne e ossa: una a una. È lui che guida il pulmino che porta i ragazzi dei quartieri più disagiati a scuola, è lui a prendersi carico di ogni situazione critica, in una città dove le situazioni critiche sono la normalità. Un esempio su tutti. A Montgomery, una città che non arriva a 200mila abitanti, lo scorso anno ci sono stati 73 omicidi. Venti in più che in tutta la Svizzera.
Mentre sono in auto con il pastore, il telefono squilla decine di volte, ma tutto è rinviabile con una battuta e una risata, visto che non vuole rinunciare a farmi da guida. All’ennesima chiamata, però, dobbiamo cambiare itinerario e dirigerci a due passi dal ricovero per senzatetto gestito da Austin: un uomo è stato accoltellato e l’aggressore si nasconde nel giardino di una casa. Il proprietario ha chiamato la polizia e la polizia ha chiamato il pastore. Questo è il giro che si fa qui per evitare guai peggiori. Austin risolverà anche questa, in qualche modo. Finire improvvisamente in quel modo ai margini della città – dove vive chi è ai margini della società e dove sorge anche la chiesa di Austin – è anche un buon esercizio per rivedere non solo le mappe stradali, ma anche le proprie mappe mentali.
Keystone
La terza marcia da Selma a Montgomery, capeggiata dal reverendo King
Austin troverà anche il tempo di mostrarmi vecchie console da sala-giochi perfettamente funzionanti (compreso il mitico Nba Jam) e un archivio di prime pagine storiche (dalla morte di King allo sbarco sulla Luna), andando su e giù per le stanze del complesso in cui prova a recuperare i giovani più in difficoltà. Mentre, ormai è pomeriggio inoltrato e mi sta riportando davanti alla chiesa che fu di Martin Luther King, passiamo davanti a una casa abbandonata e con delle assi di legno inchiodate alle finestre. C’è un grosso cartello scritto a mano: “Per i giovani: Per un breve momento della nostra storia siamo stati in catene, quello non è il vostro futuro. Non gettate le vostre vite dentro il sistema carcerario. Smettete di sparare, uccidere, rubare. Non ci sono scuse e c’è sempre un’altra via”. Quel cartello ne copre parzialmente un altro. C’è scritto: “Hey black people, you are so important”.
Ma bisogna passare da lì e solo da lì per leggerlo. Ammesso che tu lo veda. Il pastore Austin, invece, lo ricorda a tutti quelli che lo incontrano.
R. Scarcella
Una casa con scritte motivazionali per la comunità afroamericana di Montgomery