Le economie avanzate hanno subito due considerevoli shock esogeni dal 2020. Non anticipati, hanno provocato grossi scossoni sui mercati finanziari, dei cambi e delle materie prime. In successione, la pandemia e la guerra in Ucraina hanno generato reazioni adattative da parte dei diversi attori dell’economia: i governi con la politica fiscale, le banche centrali con la politica monetaria, le famiglie con i consumi e le imprese con le decisioni d’impiego e investimento. Ne è risultato un periodo agitato, marcato da ampie fluttuazioni dell’attività economica e dell’inflazione. Questa fase turbolenta volge finalmente al termine. Nei prossimi 12-18 mesi, l’inflazione negli Stati Uniti e nell’Eurozona scenderà ulteriormente. La Fed e la Bce potranno abbassare i tassi di riferimento. L’attività economica terminerà la digestione del periodo di restrizione monetaria e la crescita riprenderà il suo ritmo di crociera. Per l’investitore azionario, il ritorno alla normalità macroeconomica promette un periodo in principio lungo privo di scossoni drammatici. La selezione dei titoli riprenderà quindi la priorità rispetto ai movimenti degli indici. Nel mondo attuale, le incognite politiche e geopolitiche non vanno trascurate. Sono in costante aumento da dieci anni. Saltano all’occhio i rischi che gli Stati Uniti adottino un corso isolazionista e protezionista e che la relazione Usa-Cina soffra di un peggioramento supplementare. La loro realizzazione forzerebbe un considerevole sforzo fiscale per finanziare le spese per la sicurezza in tutta l’Europa e avrebbe conseguenze per molte imprese internazionali. La consapevolezza dei rischi politici e geopolitici da parte di governi, imprese e investitori, rende tuttavia possibili azioni preventive che ne riducono l’impatto sul mercato azionario in caso di realizzazione. La votazione sulla Brexit nel 2016 ne fornisce un piccolo ma bell’esempio.