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Perdita d’influenza

La riapertura della Cina dopo il 2022 perturbato dalla politica Covid-zero non ha modificato le prospettive delle economie avanzate. Il boom del commercio estero e dei mercati delle materie prime non si è prodotto. Il settore dei servizi ha maggiormente beneficiato della riapertura, meno il settore manufatturiero. Fissando al 5% soltanto l’obiettivo di crescita per il 2023, il governo cinese privilegia l’azione sul fronte strutturale, ovvero il rafforzamento del declinante potenziale di crescita di lungo periodo e l’aumento della resilienza dell’economia a eventuali choc internazionali. Il debito molto elevato dei governi centrale e provinciali spiega l’assenza di grossi sforzi fiscali per rilanciare la crescita nel breve periodo, in contrasto con quanto avvenuto nel 2008 o nel 2016. Data l’inflazione nulla e orientata al ribasso, la banca centrale segue una politica monetaria restrittiva. Probabile in futuro, l’adozione di un atteggiamento più stimolativo pure faticherà ad alzare la crescita, a causa dell’indebitamento delle imprese, anche lui alto. Uno dei tradizionali motori dell’economia cinese, il settore immobiliare, soffre di capacità eccedentarie, la cui digestione limiterà la crescita ancora nei prossimi anni. Le ricadute della riapertura della Cina sull’attività e l’inflazione nelle economie avanzate saranno quindi trascurabili. È una buona notizia per la lotta contro l’inflazione che proprio non ha bisogno di un nuovo choc sui prezzi originato dalla Cina. Quanto al medio periodo, il modello tradizionale di crescita basato sull’eccesso di risparmio, il debito bancario e l’indirizzo degli investimenti nei settori ritenuti strategici dal governo centrale mostra i suoi limiti. La demografia è sfavorevole e modelli di sviluppo alternativi che non mettano in questione il dirigismo sono difficili da immaginare. Dovremo quindi abituarci a una lenta compressione della crescita e con essa a una perdita d’influenza della Cina.