Gli ultimi decenni sono stati caratterizzati da prosperità, bassa inflazione e relativamente poche guerre. Questo è in gran parte merito della globalizzazione. Le tendenze protezionistiche, la pandemia e le tensioni geopolitiche mettono a repentaglio le conquiste della globalizzazione.
Negli ultimi quarant’anni la globalizzazione ha determinato una drastica riduzione della povertà su scala mondiale e un aumento del reddito pro capite. L’ampia offerta di manodopera a basso costo e la concorrenza a livello globale hanno causato un calo dei prezzi, un rallentamento della crescita salariale e una riduzione dei tassi d’inflazione globali. Oltre che al benessere, la globalizzazione ha contribuito anche a un periodo di pace duratura. L’interdipendenza economica creava automaticamente un incentivo a coltivare buone relazioni internazionali e a risolvere i conflitti senza ricorrere alla forza militare.
Negli ultimi anni gli Stati Uniti e i Paesi europei hanno fatto sempre più spesso ricorso a misure protezionistiche. Ciò è dovuto principalmente alle disuguaglianze sociali tra la popolazione. A causa dei problemi nelle catene di approvvigionamento durante la pandemia, molti Paesi si sono maggiormente orientati verso l’interno. Con il cosiddetto reshoring si mira a riportare nel Paese di origine la produzione esternalizzata delle imprese operanti in settori importanti per la sicurezza, come quello dei semiconduttori e dell’energia. La guerra in Ucraina e il crescente disagio nei confronti della Cina hanno accelerato ulteriormente questa tendenza.
Stando alle stime dell’Organizzazione mondiale del commercio (Omc), quest’anno il commercio mondiale crescerà solo dell’1%, un dato che esprime un netto rallentamento rispetto al valore pari a 3,5% dello scorso anno. Le barriere commerciali non devono essere ulteriormente rafforzate. La globalizzazione deve invece essere riorientata: le catene di approvvigionamento devono essere più diversificate e resistenti, senza tuttavia ostacolare il commercio internazionale.