Economia

Dietro le quinte del licenziamento di Sam Altman

Scontro per il controllo di AI, cinque giorni pieni di colpi di scena. Dai quali è uscito vincente il partito dei boomers, quelli che vogliono accelerare

Altman
(Keystone)

I cinque giorni dello scontro per il controllo di OpenAI, la società apripista dell’intelligenza artificiale generativa, diventeranno probabilmente un serial televisivo appassionante per i continui colpi di scena e l’alternarsi sul palcoscenico di molti personaggi diversissimi tra loro.

Ma ora, man mano che la nuvola di polvere si deposita al suolo, diventa sempre più chiaro che quella di OpenAI è stata molto più di una saga: una battaglia - forse solo la prima di una serie - per la conquista dell’anima digitale dell’umanità, prima ancora che del controllo di un’azienda che ha in tasca le chiavi delle industrie del futuro.

Le tappe dello scontro - l’improvviso licenziamento del fondatore e capo della società dell’AI generativa, padre di ChatGPT, la rivolta di finanziatori e clienti di OpenAI, Altman richiamato in sede per negoziare il suo rientro, il fallimento della trattativa, la minaccia dei dipendenti di abbandonare in massa l’azienda trasformandola in un guscio vuoto, la capitolazione dei membri del board col ritorno di Altman - le abbiamo raccontate quotidianamente sul Corriere della Sera.

Fulmine non a ciel sereno

Ora vale la pena concentrarsi sul primo fotogramma di questo film: venerdì 17, quando a mezzogiorno si collega in videoconferenza coi membri del cda, Altman non sospetta nulla: è a Las Vegas dove sta seguendo le prove del Gran premio di Formula 1. La comunicazione del suo licenziamento è, per lui, un fulmine. Ma non un fulmine a ciel sereno.

I suoi rapporti con alcuni membri del board si sono gradualmente deteriorati nell’ultimo anno: tutto è cominciato il 30 novembre 2022 col lancio di ChatGPT. Una scossa elettrica per l’economia digitale e per tutto il mondo della conoscenza. Ma una scossa anche per il vertice dell’azienda.

OpenAI non è un’impresa “normale”. E Altman non è un imprenditore tradizionale. Ha sempre mostrato sensibilità sociale e politica. Voleva fare il governatore della California, ma poi ha scelto un’altra missione: sviluppare l’intelligenza artificiale governando in modo etico una tecnologia capace di raggiungere e superare le capacità umane. E, non volendo ripetere il percorso di Google, passata dall’idealismo al turbocapitalismo una volta in Borsa, fonda il laboratorio di ricerca OpenAI non come impresa commerciale ma come società filantropica.

Filantropismo e business

Ma l’addestramento dell’intelligenza artificiale costa caro. Servono finanziamenti imponenti che la filantropia non è in grado di assicurare. Così nel 2019 Altman affianca al laboratorio una società commerciale: Microsoft entra al 49 per cento e versa un miliardo di dollari. Ma, per non tradire l’intento filantropico, Altman lascia la OpenAI commerciale sotto il controllo di quella non profit.

Che la Silicon Valley stia inseguendo un’altra delle sue utopie emerge chiaramente col lancio di ChatGPT. Altman, eccitato dal suo straordinario e imprevisto successo, spinge per accelerare la corsa verso il raggiungimento dell’AGI, l’intelligenza artificiale di capacità analoghe o superiori a quelle dell’uomo. Sa che ci sono rischi, propone regole, ma vuole soprattutto mantenere il primato.

Il board della non profit (6 membri) è spaccato: tre consiglieri - le ricercatrici Helen Toner e Tasha McCauley e l’imprenditore Adam D’Angelo - sono seguaci della filosofia dell’effective altruism: una corrente di pensiero, diffusa nella Silicon Valley, che spinge a usare le risorse e la tecnologia per massimizzare, in modo misurabile, i benefici per l’umanità.

Altman sottovaluta il malessere di mezzo consiglio e continua sfornare derivati commerciali di ChatGPT, GPT4 e la versione grafica Dall-E: pensa che alla fine questi “frenatori” (o doomers, quelli che temono catastrofi) avranno un ruolo di coscienza critica poco più che decorativo. Il futuro è dei boomers: quelli che vogliono accelerare.

L’ossessione di Ilya Sutskever

Nel board, però, c’è un quarto consigliere, Ilya Sutskever, che è anche il capo degli scienziati di OpenAI e un suo cofondatore. Ilya non aderisce all’effective altruism, ma ne condivide i principi. Da scienziato è eccitato dai progressi della tecnologia - le principali scoperte di OpenAI portano la sua firma - ma è anche terrorizzato dai rischi di abusi.

Da sempre intimo di Altman, nell’ultimo anno Ilya ha preso a criticarlo: è ossessionato dai pericoli della tecnologia che lui stesso sta creando. Mette addirittura in scena una sorta di rito pagano: chiede a un artista di intagliare una figura di legno che rappresenti l’intelligenza fuori controllo. Poi, durante una festa dei dipendenti di OpenAI, la brucia gettandola in un caminetto.

Secondo l’agenzia Reuters alla vigilia della rottura il consiglio riceve da alcuni ricercatori una lettera nella quale si avverte che un nuovo filone di ricerca chiamato Progetto Q* (o Q star) promette di dare un’accelerazione improvvisa al progresso già rapido dell’AI. Alla capacità di elaborare il linguaggio si sta aggiungendo quella di risolvere problemi matematici sempre più complessi: l’AGI forse è a portata di mano.

Giorni di caos

Il resto è cronaca dei giorni scorsi. Quattro consiglieri che licenziano Altman senza rendersi conto delle disastrose conseguenze di una mossa che getta nel caos l’azienda leader dell’intelligenza artificiale. La minaccia di una OpenAI ridotta a un guscio vuoto. Il ritorno di Altman, l’azzeramento del vecchio consiglio.

Cosa accadrà ora? Nella partita tra doomers e boomers l’equilibrio si è spostato a favore di questi ultimi. Altman ha chiarito che rientra per accelerare e rafforzare l’alleanza con Microsoft: ha investito 13 miliardi in Microsoft e, dopo il grande spavento, vuole contare di più.

Quale spazio per l’AI etica

La governance di OpenAI cambierà: nel futuro consiglio di nove membri probabilmente ci saranno anche Altman e Microsoft. Per ora, però, nel board emergenziale di soli tre consiglieri che dovrà riorganizzare l’azienda dopo aver svolto un’inchiesta, affidata a investigatori indipendenti, su quanto accaduto, Sam e il gigante di Seattle non ci sono. Insieme all’ex ministro del Tesoro Larry Summers e all’ex co-Ceo di Salesforce Bret Taylor c’è, invece, Adam D’Angelo, uno dei congiurati. E c’è la ferita da rimarginare con Sutskever: è un “frenatore” e ha tradito Altman, ma è anche un genio le cui idee sono state il principale carburante dei progressi di OpenAI.

L’utopia filantropica è tramontata ma il partito dell’AI etica spera ancora di avere uno spazio perché stavolta la posta va oltre i confini del mondo del business. E, per la prima volta, si è mosso con decisione anche il governo americano con l’ordine esecutivo di Biden e l’elaborazione di un sistema di regole.