Secondo i principali analisti la ripresa economica sarà più robusta del previsto
Nel vedere l’indice S&P500 crollare di quasi il 2,5%, e proprio nella prima seduta del nuovo anno, in molti a Wall Street s’erano chiesti cosa avesse provocato tanto sconquasso. Le valutazioni azionarie sono da bolla speculativa, hanno argomentato i pessimisti, notando come l’indice fosse volato del 68% dai minimi di marzo e il bilancio del 2020 si fosse chiuso con un +16%, in un anno in cui la pandemia aveva provocato la più violenta recessione della storia. Niente paura, sono solo (salutari) prese di beneficio, hanno minimizzato altri, forse suggestionati dal presagio di Morgan Stanley, secondo la quale un’eventuale vittoria democratica in Georgia avrebbe consegnato il senato al partito del presidente eletto Joe Biden.
Sì, è proprio la prospettiva di un Congresso interamente democratico che turba gli investitori, hanno concluso quasi tutti, paventando nuove regole e maggiori tasse. Roba da non credere. Verso fine ottobre, quegli stessi investitori s’eran fatti travolgere dall’euforia per la probabile Blue Wave (ondata democratica) che avrebbe rilanciato gli investimenti, accresciuti i sussidi alle famiglie e, dunque, ridato impulso all’economia, seppure a scapito di qualche tassa in più. E avevano esultato qualche settimana più tardi alla nomina di Janet Yellen, promessa a capo del Tesoro: la persona giusta, dicevano, perché saprà coniugare gli stimoli fiscali a quelli monetari della Fed.
Ma, mercoledì 6 gennaio, le fisime di tre giorni prima erano già scomparse: ormai certa la vittoria democratica in Georgia, l’S&P500 ha segnato un nuovo record. L’economia correrà ancor più del previsto e la borsa avrà ulteriori motivi per crescere. Perché mai angustiarsi, ha osservato con grande pragmatismo lo strategist di una media società d’investimento di Boston: «il momentum è una forza formidabile e noi non vogliamo metterci contro».
Quel momentum altro non è che la straordinaria costruzione di un consenso operata dalla psicologia, nella convinzione che, finita la pandemia (e saremmo agli sgoccioli, grazie ai vaccini), l’economia marcerà a ritmi più che doppi rispetto al passato, i governi spenderanno (a debito) migliaia e migliaia di miliardi, le banche centrali seguiteranno a comprare titoli inondando i mercati di liquidità, i tassi d’interesse resteranno inchiodati allo zero e i rendimenti obbligazionari resteranno bassi come adesso.
Questa idilliaca visione del futuro non appartiene solo ai piccoli day trader, che hanno iniziato a scorrazzare in massa sui mercati fin dalla tarda primavera, ma è diventata (da settembre) patrimonio di molti grandi investitori. Goldman Sachs, ad esempio, dismessa la prudenza d’inizio 2020, pronostica ora un pil Usa nel primo trimestre in crescita del 5%, in luogo del 3% stimato in precedenza, cosicché l’anno si chiuderebbe con un rialzo del 5,8%, mostrando un ottimismo assai maggiore dei concorrenti che, mediamente, pronosticano un più contenuto 3,9%.
Il 2021 è iniziato con forti convinzioni e, com’è successo nei mesi scorsi, tali convinzioni sono condivise e cavalcate dalla stragrande maggioranza degli investitori, negli Stati Uniti come in Europa. La prima è che le banche centrali continueranno a immettere liquidità grazie ai quantitative easing, in misura quasi pari a quella dei mesi scorsi (circa lo 0,76% del Pil mondiale ogni mese, che farebbe quasi il 10% all’anno); la seconda che i deficit dei governi si manterranno attorno al 10% e ci saranno tanti soldi da spendere in sussidi e investimenti; la terza che la ripresa economica sarà più robusta del previsto e gli utili societari aumenteranno del 24% in America (consenso Refinitiv) e fino al 30% in Eurozona (secondo Kairos).
In forza di queste convinzioni, ne consegue che le borse cresceranno almeno a due cifre e, secondo un computo di Reuters, Wall Street potrebbe addirittura salire a 4.400 punti; che si potrà ancora puntare sui bond societari, specie quelli ad alto rendimento; che il dollaro seguiterà a indebolirsi, almeno fino a metà anno; che il miglior posto per investire (azioni e bond) sono i paesi emergenti; che il settore più promettente è quello composito che prende il nome di Esg (ossia delle società più rispettose dell’ambiente, del tessuto sociale e della governance). In America, s’aggiungono i titoli (per lo più di piccole e medie aziende) interessati al vasto programma d’investimento nelle infrastrutture, promesso da Biden e in Italia, a detta di Kairos e di Intermonte, anche sui Btp, il cui spread sul Bund potrebbe, secondo quest’ultima, scendere anche sotto l’1%.
Parrebbe lo scenario perfetto per i mercati, tale da far salire all’unisono tutte le attività finanziarie, come è stato per gran parte dello scorso anno. Uno scenario talmente perfetto, si direbbe asettico, da escludere l’eventualità di qualsiasi interferenza.
Pur sorvolando sulle valutazioni di borsa, che hanno raggiunto in America gli estremi di 20 anni fa, non sfiora il dubbio che la grande propensione ai consumi negli Stati Uniti è il frutto dei (non eterni) sussidi governativi che hanno, paradossalmente, accresciuto le disponibilità finanziarie delle famiglie. Ed è mai possibile che un’economia stimata in crescita di oltre il 5%, con un mare di liquidità e una velocità di circolazione della moneta in forte aumento, non generi inflazione e, dunque, una risalita dei rendimenti obbligazionari? Questi timori, per ora, sono stati espressi da pochi operatori, ma di grande autorevolezza, in particolare dagli economisti di Morgan Stanley e GaveKal.