In concorso, ‘Songs of slow burning earth’ racconta un presente apocalittico bellico che è diventato parte della vita di tutti i giorni
Il mondo è un insieme di possibilità mancate che iniziano con un “E se..?”: e se guardassi dal balcone e vedessi un missile cadere? E se le mie tradizioni fossero fonte di astio da parte di un popolo? E se una nazione prendesse di mira la terra della mia? E se fossi nato in Ucraina? Il conflitto che sembra eterno procede ed è ormai diventato una spaventosa abitudine, una silenziosa minaccia al diritto a un futuro pacifico. Nel giorno del Nobel per la pace conferito all’associazione Nihon Hidankyo, non si può evitare di pensare alla guerra fredda nucleare che è il nostro tempo, una costante paura invisibile che evitiamo distraendoci, occupando il nostro tempo. Non molto più a est, invece, c’è già un paesaggio post-apocalittico e “Songs of slow burning earth” – documentario di Olha Zhurba in concorso al Film festival diritti umani Lugano, in replica lunedì alle 18 al Cinema Iride –, lo racconta, attraverso le testimonianze di una terra desolata e di un popolo alle fasi finali di un lutto collettivo.
È l’inizio del conflitto e le chiamate inondano il numero di emergenza, segnalando esplosioni in tutto il paese, è la guerra. Dalla stazione di Kiev i treni partono pieni di donne e bambini, sollevati sopra le teste della folla per farli salire sulle carrozze. Il silenzio e la paura degli adulti si contrappone al vociferare dei bambini, che ancora non capiscono cosa sta succedendo, ma la pazienza viene messa alla prova e i ruoli, presto, si invertono. Prima o poi, regna il silenzio su tutto, lo stesso che pervade le lande ucraine. Nella nebbia, tra alberi spogli e rottami di autobus e carroarmati, viaggia un furgone, ma a bordo nessuno emette un suono, nemmeno un cagnolino. Davanti, l’autista guida in lacrime, impotente, perché comprende la sofferenza e il bisogno di protezione dei più giovani, in balia della situazione. Poco più in là, tra le auto in colonna che lasciano Zaporizhzhia, un’anziana piange, piange per la sua città, che ha visto crescere e in cui ha vissuto per 70 anni, ora tomba di cadaveri bruciati dalle bombe al fosforo, che continuano a bruciare anche se coperti da un lenzuolo. La gente lotta per non litigare, sopportando la frustrazione di voler aiutare senza poterlo fare, bloccati per strada, mentre le sirene fanno eco in lontananza. Le chiamate al numero di emergenza sono testimonianze dirette degli abusi da parte dei soldati, senza pietà e senza scopo, sempre più raccapriccianti, e i combattenti locali diventano invece eroi: quando passa un carro funebre, non c’è persona sul ciglio della strada che non si inginocchi in segno di rispetto, in un gesto umano davvero raro. Mentre i panettieri lavorano senza sosta per consegnare il pane alle persone più vicine al fronte, tra il rumore di bombe a poche centinaia di metri, dall’altra parte del paese i bambini disegnano a scuola, e anche se sono ”al sicuro” e lontani, dipingono la volontà di un’Ucraina liberata dall’oppressione, un luogo dove poter realizzare i propri sogni.
“Songs of slow burning earth” è un diario dei primi due anni del conflitto, un prezioso ritratto delle persone che vivono la trasformazione radicale della guerra, anche a livello psicologico, costrette a confrontarsi con la morte, che diventa parte della routine quotidiana e una pericolosa eredità per i giovani. La messa in scena è precisa, fatta di grandangoli desolanti e piani molto stretti, su alcuni volti segnati, piangenti e imperterriti, di persone di varie generazioni che condividono lo stesso inferno, mentre i cadaveri sono fuori campo, per volontà della regista, per preservare la dignità e per quella legge non scritta che vieta di filmare i corpi morti. La vera sorpresa sono però i bambini, che vogliono reagire e riappropriarsi della possibilità di una vita normale, per realizzare i loro sogni, rivelando una consapevolezza impressionante, che sottolinea quanto le nuove generazioni, per cui si tende a essere sempre severi, abbiano la volontà, la conoscenza e la forza per percorrere nuovi sentieri, allontanandosi dalle orme mostruose del passato.