L'ideatore del Cabaret della Svizzera italiana nel racconto di un ‘pipistrello’ e in quello del regista che di quella compagnia ha riassunto il trentennio
“Il mio merito era quello di scrivere, poi loro erano bravi: gli attori, i cantanti, i musicisti… avevamo delle canzoni bellissime! Sui testi, però, ero abbastanza severo: se qualcuno improvvisava veniva redarguito perché per la gente l’autore ero io e se qualcuno mi usciva con qualche stupidata, il colpevole ero io!”. Così nel 2018, in occasione dei suoi ottant’anni, Renato Agostinetti raccontava alla Regione quel fenomeno unico della scena teatrale chiamato Cabaret della Svizzera italiana, che per trent’anni ha incarnato la satira in salsa ticinese in modo indelebile e, allo stato delle cose, irripetibile. Agostinetti se n’è andato nella notte tra lunedì e martedì all’età di 86 anni “dopo breve malattia”, ha fatto sapere il fratello Emilio. Era nato a Claro il 3 agosto del 1938. La Rsi gli renderà omaggio questa sera alle 20.35 su La2, nel ‘Sabat a teatro’ che lo vide protagonista il 12 agosto di un anno fa. Nel giugno del 2022 lo si era visto anche ne ‘Il Cabaret della Svizzera italiana 1977-2006’, documentario di Victor J. Tognola che riporta in vita un trentennio di spettacoli che non risparmiavano nessuno. Merito della penna di Agostinetti, autore di tutti i testi del ‘Cabaret’ e inizialmente anche delle musiche.
“Ora una satira del genere non sarebbe più possibile, nemmeno i giornali la pubblicherebbero”, diceva nel 2022 Tognola. Due anni dopo il concetto non è cambiato: «Oggi fare una battuta diventa pericoloso», ci dice il regista, dal quale partiamo per ricordare l’Agostinetti che non c’è più. «Ho il ricordo di una persona straordinaria, un professore ‘asciutto’ da vedere, serafico, sintetico, ma con il talento incredibile di saper sfornare una canzone in un attimo, con le rime giuste, e nel cabaret questo è importante». Incredibile pare oggi «quell’ironia applicata a un Paese degli anni Settanta, il nostro, nel quale c’era chi giurava che quella cosa sarebbe durata al massimo un mese e invece è andata avanti trent’anni». In poche parole, «Renato è riuscito a portare nei teatri gente che a teatro non ci era mai andata. Ancora ci si chiede come. Avevo intuito qualche mese fa che fosse malato, mi dispiace tantissimo».
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2004: da sinistra, Lazzarotto e altri ‘Insubriacati’
«Per me Renato è una perdita con la P maiuscola». Ora è il pipistrello Franco Lazzarotto a parlare. «È stato un maestro di vita in tutti i sensi. Il suo primo giorno di scuola come docente è coinciso con il mio primo giorno di scuola come allievo, da allora non ci siamo più lasciati» I due hanno anche fatto politica assieme, «pur in due ‘branchie’ differenti, ma è stato bellissimo». Al Cabaret della Svizzera italiana, Lazzarotto arriva così: «Nel 1969 avevo 18 anni, Renato mi chiama e mi chiede di entrare nella Rivista di Arbedo. Io gli faccio presente che non ero mai salito su un palcoscenico e lui mi dice “non fa niente, tu vieni!”». Dal 1969 al 1975 la Rivista, dal 1977 al 2006 il Cabaret, «una carriera, anzi, un dopolavoro di grande divertimento». Perché il Cabaret dalle repliche numerose, a volte anche serrate, è sempre rimasto un gruppo di non professionisti. “Ognuno di noi ha un lavoro primario cui deve dedicarsi”, ricordava Agostinetti nel 2006. “Non siamo più nemmeno tanto giovani e quindi un giorno o l’altro dovevamo dare l’addio alle scene. Abbiamo preferito farlo adesso sull’onda del successo di ‘Konfederatti’”.
Il cerchio tra l’autore/chansonnier e il pipistrello si chiude nel 2008: «Renato è stato per anni Giudice di pace del Circolo della Riviera e una volta terminato il suo mandato ecco che ri-suona il telefono: “Franco, ciapa ti ‘l post!”, e sono diventato Giudice di pace». Tornando allo spettacolo: «Nello scrivere, Renato ha sempre capito quali fossero le esigenze della popolazione. Sempre facendoci divertire, ha scritto copioni misuratissimi e nuovi, perché la satira politica da noi era sconosciuta, ma piaceva così tanto che sotto elezioni il politico che non veniva citato nello spettacolo si offendeva come se fosse stato vittima di una campagna al contrario. D’altra parte, venire citati in quaranta sale più la registrazione televisiva e i giornali non era visibilità da poco». Quanto all’Agostinetti “abbastanza severo” di cui sopra, «era severissimo», ricorda il pipistrello. «Arrivava con il suo copione e noi dovevamo recitare quel che aveva scritto, e guai a chi si permetteva di recitare dell’altro! Diverso era con il canto, ma se si trattava di recitazione, dovevi essere attore». L’aneddoto: «Negli spettacoli del Cabaret c’era sempre il momento serioso. Una volta Renato scrisse una cosa da brividi su un fatto di cronaca, una canzone in memoria di una recluta morta in quei giorni. Ovviamente la canzone era contro l’Esercito e il sottoscritto, colonnello dell’Esercito, non è che fosse fierissimo di salire sul palco, ma facevo parte di un gruppo, di uno spettacolo ed ero lì per fare quello. La gente l’ha capito, qualche graduato un po’ meno, ma poco importa».
Nemmeno per Lazzarotto quella satira sarebbe riproponibile oggi: «Far ridere in primis colui che era preso di mira era una dote per la quale siamo rimasti fedeli a Renato. Quando nel 2006 abbiamo terminato, si è sperato che qualcuno avrebbe raccolto il testimone, ma non è stato così. Ora il mondo è cambiato, i mezzi d’informazione anche. Il Cabaret è stato qualcosa di unico, legato alla realtà del momento».
L’ultimo Agostinetti per Lazzarotto è un’informazione via terzi. «È stato talmente tutto veloce. Era lucido, ‘una robettina, la mettiamo a posto’, diceva. Pare volesse ricominciare l’esperienza radiofonica, quella in cui il pubblico proponeva l’argomento e noi in meno di due ore mettevamo insieme una canzone e quattro sketch. La voleva riproporre a 86 anni, pensi lei». La riflessione finale: «In quei trent’anni di ‘Cabaret’, per noi tutti ci sono state esperienze di vita privata molto toste, e il fatto di sapere che il venerdì e il sabato avevi uno spettacolo da portare in scena ci ha fatto da medicina. L’ho sempre detto a tutti: chi non sale su un palcoscenico si perde qualcosa di eccezionale, perché ricevi qualcosa di unico, soprattutto se i copioni sono validi. Lo dico con emozione, perché Renato ci ha regalato momenti stupendi».
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Anno 2006: Agostinetti con i ‘Konfederatti’