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‘Ilva Football Club’, lo sport all’ombra dell’acciaieria

Al Festival di Arzo Usine Baug e Fratelli Maniglio presentano ‘Ilva Football Club’, uno spettacolo sulle macerie industriali e sociali

Un campo da calcio, polveroso come quelli visti mille volte nei film di periferia, dove le ginocchia si scorticavano e i sogni si infrangevano sul terreno duro come il cemento. È su questo sfondo che prende vita ‘Ilva Football Club’, uno spettacolo di Usine Baug e Fratelli Maniglio che gioca con le ombre e i fumi di Taranto, raccontando una partita che è molto più di una sfida tra squadre. È un match tra sogno e realtà, tra il progresso che promette meraviglie e la vita che ne paga il conto che verrà raccontato venerdì e sabato al Festival internazionale di narrazione ad Arzo.

Calcio e fabbrica

Quando pensiamo al calcio, di solito immaginiamo eroi della domenica e tifosi in sciarpetta coordinata, ma ‘Ilva Football Club’ porta dritto al centro dell’industria siderurgica, dove il calcio diventa una scusa per parlare di tutto quello che di glorioso non c’è. Con i suoi 85 minuti di intensità, questo spettacolo, prodotto da Campo Teatrale, scava tra le macerie di un’industria che ha promesso molto e, diciamocelo, dato ben poco.

«L’idea è venuta leggendo un libro che si chiama appunto ‘Ilva Football Club’» raccontano i Fratelli Maniglio. «Abbiamo coinvolto Usine Baug, e ci siamo detti che questa tematica aveva un grande potenziale. Il calcio era un espediente, un buon linguaggio per far arrivare la storia a più persone, anche alle nuove generazioni che magari non conoscono molto della vicenda dell’Ilva. L’idea è nata proprio dall’entusiasmo di voler parlare di questioni sociali, politicamente attive, attraverso lo sport». La scelta del calcio non è casuale. Nel libro si parla proprio di un campo da calcio costruito ai piedi dello stabilimento dell’Ilva, ormai chiuso e fuori uso, ma che un tempo era il rifugio degli operai che, dopo il turno di lavoro, cercavano di allontanarsi dai problemi dell’Ilva, almeno per 90 minuti.

La leggenda di una squadra e di una città

Ilva Football Club ha una trama da scoprire e di cui è difficile parlare senza fare qualche spoiler. Invece di seguire un percorso lineare, la narrazione si divide su due binari che si intrecciano: da un lato, la Sidercalcio, una squadra di operai che, contro ogni previsione, riesce a farsi strada tra le grandi del calcio professionistico; dall’altro, la storia di “una famiglia Ilva”, cresciuta all’ombra dell’acciaieria più grande d’Europa, in una città che si barcamena tra le cicatrici lasciate da un progresso che l’ha sacrificata senza troppe cerimonie.

«Lo spettacolo cerca in realtà di andare oltre Taranto» afferma Ermanno Pingitore, uno dei fondatori di Usine Baug. «Parliamo di Taranto per affrontare temi più ampi come la produzione, l’iperproduttività, il progresso, e il futuro della società in cui siamo immersi».

Fabio Maniglio, Luca Maniglio, Ermanno Pingitore, Stefano Rocco, e Claudia Russo non hanno mai vissuto a Taranto, ma i vari ruoli calzano a pennello. «Siamo due compagnie che si sono unite in una creazione collettiva. Gli attori sapevamo già che saremmo stati noi, e ci siamo cuciti i ruoli addosso. Non si tratta di un lavoro di interpretazione classica: noi abitiamo queste storie». Storie dissotterrate da una ricerca meticolosa, condotta direttamente sul campo grazie all’accoglienza della Cooperativa Teatrale Crest e la collaborazione di Pietro Pingitore come documentarista e antropologo visuale.

Estetica industriale

Uno degli aspetti più potenti di Ilva Football Club è l’uso della scenografia e del suono per ricreare l’atmosfera di Taranto e della sua fabbrica. «Abbiamo visto i colori della città, i materiali della fabbrica e li abbiamo portati sulla scena» spiegano i Fratelli Maniglio. «Gli oggetti e i suoni sono stati scelti per evocare l’ambiente industriale in modo da non rappresentarlo in maniera didascalica».

Portare tutto questo sul palco non è stato semplice, ma certamente creativo. «Non essendo mai entrati nella fabbrica, abbiamo ascoltato racconti, letto, visto immagini, e poi abbiamo cercato di tradurre tutto questo scenicamente» ammette Claudia Russo. «L’obiettivo era restituire ciò che abbiamo percepito leggendo e osservando, per creare la nostra versione della fabbrica, non una rappresentazione esatta della realtà».

La sottile linea tra ironia e dramma

Se c’è una cosa che Ilva Football Club sa fare bene, è dare un calcio all’ipocrisia, oltre che al pallone. Qui l’ironia è il filo conduttore che tiene in equilibrio il dramma e la leggerezza. Non è solo uno stratagemma per rendere la narrazione più digeribile: è un modo per mettere sotto i riflettori le facili dicotomie tra lavoro e salute, progresso e sacrificio, e per riflettere su tutte quelle città “sacrificabili” sparse per il mondo che ci ricordano quanto spesso la società ci chieda di dare troppo in cambio di troppo poco. E, soprattutto, che non è il passato a definirci.

«Non bisogna dimenticare che Taranto è una città bellissima, piena di gente propositiva. ‘Ilva Football Club’ parla dell’Ilva, ma Taranto è molto di più. E questo spettacolo vuole dire proprio questo: che non finisce lì».

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