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Tutte le sfumature di Diodato per un Estival al Ciani

Il cantautore italiano ha aperto l'edizione 2024 di Estival Jazz

(Ti-Press / Benedetto Galli)

In una delle serate più torride, graziata dagli eterni temporali del cambiamento climatico con una semplice spolverata di pioggia iniziale (e per fortuna, visto che la confisca degli ombrelli all’ingresso non ha risparmiato nessuno, nemmeno le persone in carrozzina), Diodato ha inaugurato l’Estival Jazz, parte del LongLake Festival. Una performance al Boschetto Parco Ciani, nel cuore del parco, in cui sembra di scendere nella tana del Bianconiglio, per emergere in un intimo palco tra le frasche. Prima di lui, il pubblico è stato cullato dalle note oniriche e sperimentali della svizzera Chiara Dubey. Con richiami al ‘vocoder’ di Imogen Heap e ai primi brani di Grimes, così nostalgici per i nati negli anni Novanta, l’artista spalla ha intrattenuto il pubblico con pezzi in inglese e persino in hindi. Un genere diverso dalle melodie pop di Diodato, ma che evoca i toni nostalgici del violino, rivitalizzati dalla potenza della wave elettronica che anticipa il suo prossimo album ‘Chandani’, in uscita a settembre.

Come le intro dei film d’azione, i suoi brani più strumentali hanno aperto la strada al protagonista principale che non si fa attendere sul palco. Senza fronzoli o annunci esaltati da veejay, semplicemente infilandosi con la chitarra e squarciando la notte con la prima nota. Per chi conosce Diodato solo per il suo grande successo ‘Fai Rumore’, che il pubblico ha atteso ansiosamente per cantare così a squarciagola da liberare il bambino interiore (tecnica terapeutica fin troppo nota ai fan di Taylor Swift), giovedì sera è stata l'occasione perfetta per scoprire tutte le sue diverse sfumature. Dalle tonalità più folkloristiche di brani come ‘La mia terra’, omaggio alla sua amata Puglia e a Taranto (Targa Tenco 2024 alla Miglior canzone singola) fino ai pezzi più sensuali e ritmati in cui si lancia con la sua band al completo.

Difficile inserire Diodato in una categoria di musica prestabilita: il suo è un talento che non conosce etichette, fluido, che si adatta alla scatola in cui viene racchiuso, per poi strabordare. Non conosce ostacoli, neanche linguisticamente; anzi, anche se non è madrelingua, ha sorpreso il pubblico con un brano in lingua spagnola, ‘Cucurrucucù Paloma’. “Viaggiare mi ha permesso di scoprire parti del mondo che non conoscevo e culture diverse”, racconta al pubblico dopo un’ora e mezza di performance. “Qualche anno fa, mentre eravamo in tour in Europa, ho deciso di cantare un brano in lingua spagnola che ho voluto anche registrare all’interno del mio ultimo album, ‘Ho acceso un fuoco’. Il cui senso è questo: accendere un fuoco insieme a voi”.

Diodato ci sa fare con le parole, ma non è il tipico leopardiano chino sui suoi scritti, spaventato dal mondo esterno. Si diverte, balla (certo, non è Roberto Bolle ma è un’ulteriore sorpresa), e manovra i fan come marionette, facendo alzare le braccia, applaudire e cantare al suo minimo cenno. Finalmente, si scrolla di dosso il marchio dell'eterno poeta romantico vincitore di Sanremo ed ex di Levante, e realizza il sogno di un pubblico che lo apprezzi in tutta la sua complessità umana.

Dopo il bis, saluta alla maniera di un vero cantautore, citando Ivan Graziani e agitando la mano al grido di “Lugano addio”. Ma speriamo non sia un addio definitivo.

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