laR+ La recensione

Ode agli Europe, coi capelli o senza

Lo chiamano ‘hair metal’ ma è una specie di parolaccia. Nella Bellinzona con la mente altrove, una band vera, degna del gran finale di Castle on Air

Il frontman Joey Tempest. Alle sue spalle, Ian Haughland, sabato 29 giugno a Castel Grande
(Ti-Press)
30 giugno 2024
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Nei Favolosi anni Ottanta, ammesso che gli anni Ottanta siano stati Favolosi, il rischio più grande di fare musica essendo fisicamente molto belli era di finire su riviste per teenager come ‘Bravo’, forte dei suoi poster a centro pagina da staccare e appendere nella cameretta con lo scotch o, meglio, le puntine da disegno. Dal punto di vista della popolarità, Bravo e altre riviste per adolescenti erano una consacrazione; dal punto di vista della reputazione, al contrario, potevano significare il peggiore degli stigmi: venire definiti dai tromboni della critica musicale (gente che oggi non se la fila più nessuno, e a volte è un bene) come una band per ragazzine. Si veda a questo proposito il bel documentario ‘a-ha: The Movie’, storia senza fronzoli della band norvegese di ‘Take On Me’, marchiata non a vita ma quasi dall’essere apparsi a torso nudo – belli, orecchiabili, desiderabili – sulle pagine di mezzo mondo.

Nel febbraio del 1987 in Italia, anche il primo piano di Joey Tempest (“e i fantastici Europe”, recita il titolo) sulla copertina del settimanale ‘Il monello’ fu una specie di ufficialità, seguita all’apparizione della band svedese al 37esimo Festival di Sanremo, insieme a nomi come Paul Simon, Whitney Houston, The Smiths e i Duran Duran tra il palco dell’Ariston e il vicino Palarock affidato a Carlo Massarini. Questo lungo preambolo per dire che quando dici “vado a sentire gli Europe”, negli occhi degli interlocutori, oltre alla nostalgia dei Favolosi anni Ottanta, si produce sempre il ghigno di chi è convinto che Joey Tempest sia imprigionato nella copertina del Monello e che i capelli degli Europe, degni del miglior ‘hair metal’ (categoria nella quale sono relegati insieme ai boccoli di Mötley Crue, Bon Jovi e Def Leppard), e così l’avere infranto i cuori delle ragazzine, siano più importanti della musica. Detto questo…


Ti-Press
Rock the night (a sinistra, John Levén)

Downtown Bellinzona

Sabato 29 giugno, ore 21. Prima che ‘On Broken Wings’ faccia vibrare le casse ai lati del palco, la musica sta già battendo forte nella downtown Bellinzona, città in strada da un’ora a festeggiare la Nati, vittoriosa contro (a proposito di anni Ottanta) i morti viventi de ‘Il ritorno dei morti viventi’. Visto il protrarsi della festa di sotto, la corte di Castel Grande si riempie solo all’ultimo; nel pullulare di magliette rosse e rossocrociate, anche t-shirt più metallare, su tutte quella di un adepto che sul retro riporta la scritta ‘Satan is real’, e vale il biglietto. Sul palco, nel frattempo, scende il logo dei locarnesi Sinplus, opening act, e sale quello degli Europe, atto finale del Castle On Air di GC Events: breve intro strumentale ed ecco Rolf Magnus Joakim Larsson, alias Joey Tempest, in tutta la sua avvenenza di sessantenne con asta bianca roteante come spada Jedi e foularino argentato su completo nero rock. Tempo di un “Mille grazie” e un balzo temporale di trentaquattro anni porta da una superba ‘Rock The Night’ (la dimostrazione che i bravi autori vengono prima dei coiffeur) alla bella ‘Walk the Earth’, dall’omonimo album del 2017, a oggi l’ultimo disco d’inediti.

Siccome qualcuno ha deciso che il volume della cassa della batteria debba essere più alto di quello basso, di ‘Scream of Anger’ si comprende ben poco; dallo stesso album ‘Wings of Tomorrow’, uscito giusto quarant’anni fa, meglio ‘Stormwind’ e ‘Open Your Heart’, più avanti nella scaletta, cui si arriva dopo ‘Sign of the Times’, uno degli estratti da ‘Out of This World’ (1988), album post ‘The Final Countdown’ dalle vendite milionarie dal quale Bellinzona ascolterà anche ‘Superstitious’, ‘Ready or Not’, ‘More Than Meets the Eye’ e la title-track. “Ci sono qui amici dall’Italia: ci dispiace per il calcio, sarà per la prossima volta”, dice a un certo punto Tempest, in quello che non si sa se sia l’involontario gettar sale sulle ferite degli italiani o il dimenticarsi di fare i complimenti gli svizzeri; tocca alla melancolica ‘Carrie’ far dimenticare il dubbio.


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John Norum

Chi se ne frega

Nell’andare e tornare tipico di una DeLorean, il concerto in modalità viaggio nel tempo si ferma ancora su ‘Out of This World’: alla fine dell’ennesimo assolo, quello sulla suddetta ‘Superstitious’, bella anche senza i cori dell’originale, il chitarrista John Norum lancia plettri al pubblico, segno che è tempo di bis. Tornano, gli Europe, che hanno suonato dal vivo e senza sequenze, tanto di cappello, anzi, tanto di capelli: Tempest e Norum hanno ancora la chioma di un tempo, il bassista John Levén è tagliato corto e per il batterista Ian Haughland, pelato come Chris Slade degli AC/DC, l’hair metal è solo un ricordo.

Nell’odore tipico dell’umanità con i telefonini in alto a riprendere ‘Cherokee’ ci facciamo strada con un pensiero, definitivo: chi se ne frega dei capelli, chi se ne frega se ‘The Final Countdown’ è abbassata di mezzo tono e Joey Tempest non va ‘su’ come una volta; nel suo genere, e per coloro che in gioventù, accendendo un sintetizzatore, hanno provato a riprodurre più o meno correttamente la sinfonica successione di note suonata ancora una volta da Mic Michaeli, ‘The Final Countdown’ è la canzone perfetta, e questo basta e avanza (anche ai fini pensionistici di chi l’ha scritta).

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