laR+ La recensione

‘Blind Runner’, correre per essere, correre per migrare

A Venezia, Biennale Teatro, per lo spettacolo del celebrato regista iraniano Amir Reza Koohestani, una corsa verso la libertà

Visto a Venezia, Teatro alle Tese
(B.Krieg)
22 giugno 2024
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Si può proprio dire che è proprio sbarcato a Venezia lo spettacolo ‘Blind Runner’ del celebrato regista iraniano Amir Reza Koohestani, questo perché la sala che lo ha accolto, proprio nel cuore dell’Arsenale veneziano, è una delle restaurate ‘tese’, gli edifici cinquecenteschi che servivano a depositi e cantieri, e che si specchiano su chiusi bacini della Laguna. Un teatro che si allarga e si stringe a seconda degli spettacoli e che ben è servito all’allestimento di questo ‘Blind Runner’ realizzato dalla sua compagnia, il Mehr Theatre Group, dove il correre ha un grosso peso narrativo, in contrasto con il tema principale, ambientato in un’asfissiante prigione iraniana. Qui è imprigionata una giovane donna arrestata per aver partecipato alle manifestazioni di protesta in Iran culminate con l’assassinio di Mahsa Jina Amini. Lei, interpretata da una magnifica Ainaz Azarhoush – che ricordavamo protagonista di ‘Pig’, film del regista Mani Haghighi a Berlino 2018 – riceve settimanalmente la visita del marito, un intenso Mohammad Reza Hosseinzadeh. I loro colloqui sono spiati attraverso cimici e telecamere, che incutono timore, che allontanano fisicamente e mentalmente; il loro rapporto si usura, lo vediamo dai volti che la regia ci mostra, ingigantiti, sullo sfondo. Sono gli anni di carcere a pesare, entrambi abituati a correre; ora misurano la loro corsa, lei due volte alla settimana nel cortile della prigione, lui fuori, attento a non insospettire, timoroso di finire in carcere come lei. Si stancano di un rapporto che non ha un nuovo o altro quotidiano, che non offre speranze. Lei insiste perché il marito partecipi a una maratona a Parigi a fare da guida a una ragazza resa cieca dalla polizia durante le manifestazioni.

È ancora Ainaz Azarhoush a interpretare la cieca, e non cambia né costume né pettinatura, il destino amaro di queste due donne si fonde: una chiusa in prigione, l’altra resa incapace di vedere i fiori e il sole. Il marito accetta, i due runner corrono insieme per affiatarsi, lei deve avere fiducia in lui che le farà da guida. E dopo la maratona a Parigi, la folle idea di raggiungere l’Inghilterra attraverso il tunnel della Manica, come tentano tanti migranti che diventano tracce di sangue su quei 38 chilometri di galleria percorsi e ripercorsi da treni lanciati a folle velocità. Bisogna correre tra un treno e l’altro, l’allenamento serviva anche a questo.

Umanità in corsa

In ‘Blind Runner’ si segue il denso e tragico spettacolo con crescente ansia, si partecipa all’immenso dolore del vivere che è l’essere imprigionati o il migrare in nome della libertà del vivere. È solo questo, essere liberi, e non lo puoi essere sotto un regime che la libertà ti nega, e neppure se hai fame o fuggi dalle guerre che ti negano lo stesso la libertà. C’è in Amir Reza Koohestani una universalità del sentire e del dire che rende fratelli in questa umanità in corsa che ci ha regalato.

Prima di questo spettacolo abbiamo potuto assistere, nell’ambito del ricco calendario di questa Biennale Teatro, alla riproposta dopo nove anni dell’ancora sorprendente ‘After All Springville’ dell’artista belga Miet Warlop. Lei porta in scena, con clownesca fantasia e un omaggio alla grande stagione surreale del comico muto, una commedia che irride al reale, costringendo alla risata consapevole e amara di un adulto che scopre il suo essere lontano dal ridere di un bambino. Eppure, c’è una casetta che inghiotte e sputa fuori strani personaggi, e ci sono un tavolino con i tacchi a spillo e una grossa macchina fotografica di cartone e un quadro elettrico che sta per esplodere. Cerchi Alice perché questo è il suo mondo e invece, d’improvviso, tutto diventa un quadro dell’assurdo, e comprendi che non c’è più nulla dentro lo specchio.

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