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Cannes, cercando briciole cascate dal cielo

Che cosa succede dall'altra parte del tappeto rosso e della Promenade del festival cinematografico?

(Keystone)
21 maggio 2024
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La linea uno dell’autobus che porta in città è vuota. La conducente ha acceso fari e motori rombando violenta sulla collina di ville, giardini, e palazzine residenziali che pian piano si sveglia. Una fermata, due, tre, e all’Hotel de Ville ecco iniziare a salire, non sulle marches ma sul predellino dell’autobus, sempre più gente. Il sole già grande all’alba. Gli autoctoni ottuagenari osservano un po’ stizziti questo nuovo popolo venuto con l’arroganza dei loro badges a occupare la calma della Costa Azzurra. Tutte le persone che lavorano nel mondo del cinema paiono, abbigliate con quel nero d’ordinanza, una moltitudine di formichine agitate che si arrabattano attorno a tante briciole di cibo cascate dal cielo. Intanto l’autobus si è riempito di voci al cellulare concitate, shopper con la scritta giusta, piccoli comizi. Dagli occhi impastati si passa, dopo qualche semaforo, a decisioni da prendere, risoluzioni immediate. Nascoste tra i costard e i jeans neri, due gonnelline bianche in paielletts, che stridono col rigore mattutino ma son portavoci di sogni stellari e grandi promesse, impacciate e nervose in quel travestimento candido che sanno durante giorno si sporcherà. Di sabbia, delusioni, mani e compromessi. È il mondo del cinema. Che tenta con la forza di un vecchio carapace gigante di cambiare e ripulire le giunture, gettando con disprezzo i bulloni difettosi, invitando a gridare ad alta voce #Moi aussi, perché questo sistema è sbagliato da anni ed è ora di dirlo.

E mentre bulevard Carnot, la via che porta nel centro di Cannes dalla collina si sta per gettare perpendicolare giù verso il mare, si riversano fuori, all’altezza della stazione, tutti i passeggeri. Ci si affretta in sala, in coda, al bar, in redazione, in hotel, al salone. Ognuno ha un suo compito, una sua attività, per cercare di fare di questi giorni qualcosa di buono, da portare a casa. Il parrucchiere sa già che dovrà misurare con riga millimetrata i boccoli di un attrice per la montée sul tappeto rosso e poi fiondarsi sullo yacht al largo per una piega che non si sa quando finirà. La mascherina col vestito rosso – tutto qui è rosso tutto irrompe e divampa e confonde – si sistema il foulard, tira su quel sorriso che rende fiero il papà perché è bontà e non solo arma, e si prepara sui suoi tacchi a direzionare gli accreditati. I tecnici filano, e come i fotografi portano materiale sconosciuto ed enorme sotto al braccio, le guardie del corpo chissà cosa dicono sempre in quei microfoni agitati, i militari tengono in braccia i mitra.

Si lavora tutti, perché non si sa quanto durerà, perché come freelance le condizioni sono sempre peggiori, perché #Sous les écrans la dèche. Perché anche se con tutta la buona volontà intellettuali e studenti gridano alla pace, qui fuori si va da un’altra parte.

Passi svelti, ci si accalca, si viene bloccati, si lavora doppia velocità, da questo lato della Croisette. Ma basta superare le transenne del palais, e si apre il placido golfo azzurro: la camminata è sorridente sorniona e indolente. Si cincischia con il cordino al collo mentre si discute delle citazioni disperse qua e là nell’ultimo film, si annulla l’ultima prenotazione online nevrotica e ossessiva, si fa una recensione vista mare da postare al secondo. Ci sono anche io, e vi parlo da Cannes. Gabbiani e sedie blu, bandiere che svettano, elicotteri che portano a passeggio. I giornalisti qui si vestono bene, sono eleganti. Raccontano storie incredibili, ascese e cadute registiche, un inno alla settima arte e una coupe di champagne sulla terrazza della sala stampa. La via più famosa del cinema, che dal cap conduce al Palais des Festival lungo una sfilza si iconici hotel d’altri tempi e anche un po’ pacchiani, fa da spartiacque necessario. Da una parte le rivendicazioni che riempiono le tasche degli editori e i minuti al microfono, l’elitaria passeggiata, la selezionata partecipazione. Dall’altra il popolo, tenuto a distanza da un dispiegamento di forze, nel quale mimetica e vestito da sera si confondono, si lavora e si sorride, si guarda in alto, quel bellissimo poster azzurro cielo, che racconta della magia delle stelle.