Spettacoli

Jazz Cat Club, una full immersion con Denise King

Da Philadelphia al Teatro del Gatto con il trio di Tony Match, un'esplosione di jazz, r&b, soul e gospel stasera ad Ascona (galeotta fu ‘Summertime’...)

Denise King
29 gennaio 2024
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Ospite del Jazz Cat Club assieme al trio del batterista Tony Match, la cantante Denise King da Philadelphia si esibisce stasera al Teatro del Gatto di Ascona (ore 20.30, biglietti alla cassa o su www.jazzcatclub.ch). La sua voce armonica ed elegante è carica di un soul feeling travolgente. I suoi concerti sono una full immersion nelle sonorità jazz, r&b, soul e gospel. Breve incontro con un’artista davvero speciale.

Denise, si dice che un giorno del 1983 una timida ragazza di Filadelfia stava spazzando la veranda di casa cantando ‘Summertime’, quando un chitarrista della Philadelphia International Records la sentì cantare. Rimase così colpito che le fece fare un’audizione e la assunse: è tutto vero?

Tutto vero! All’epoca stavo crescendo i miei figli da genitore single. Cucinavo, pulivo la casa, mi preoccupavo dei soldi. Quel giorno il destino venne a scompigliare tutte le carte. Ero in veranda e cantavo, come sempre quando facevo i lavori domestici; in quel momento passò di lì il mio amico d’infanzia Raymond Welsh, che all’epoca lavorava per la Philadelphia International Records; scambiammo due convenevoli, lui continuò a camminare e io a cantare. Dopo una ventina di metri si fermò, si girò e mi disse: “Hei, ma tu sai cantare!”. Lo guardai con curiosità, sbattendo le palpebre. Si avvicinò e cominciò a raccontarmi di audizioni e concerti. Non avevo idea di cosa stesse parlando. Ma quando disse le parole magiche “ti pagherò”, tutto ciò che riuscii a vedere fu un mezzo per porre fine ai miei problemi finanziari, per nutrire e vestire i miei figli.

Si racconta pure che all’inizio eri molto timida. E che sia stato Sam Reed a farti passare la timidezza…

Ah sì (ride, ndr)! Il fatto è che trovarsi catapultati davanti a un pubblico non è per niente facile. Per un po’ ho cantato e lavorato nel circuito dei piccoli locali di Filadelfia, finché un bel giorno non incontrai Sam Reed, che sarebbe diventato direttore musicale di Teddy Pendergrass ma che era già allora una star, sassofonista e bandleader dell’orchestra del leggendario Uptown Theater di North Philadelphia, dove passava il meglio del mondo r&b, soul e jazz. Sam era venuto ad ascoltarci e a dirmi che voleva assumermi; io ero incredula, ma cominciammo davvero a lavorare assieme nel circuito dei ristoranti e dei club di lusso. Una sera, mentre la band stava decidendo cosa suonare, io guardavo il pubblico come una statuina di bronzo ben vestita. Sam si avvicina e mi dice: “Denise, devi parlare con la gente. Non stare lì impalata, falli sorridere, dì qualcosa”. E io: “Sam, ma io non conosco nessuno, non saprei proprio che dire”; poi, alle mie spalle sento arrivare dal suo sax il suono più forte e più orribile che si possa immaginare; stordita e sotto shock, col pubblico davanti a me che si scompisciava dalle risate, mi son trovata pure io a ridere, e a quel punto ho detto: “Beh... credo che sia meglio che parli con voi, o Sam mi farà di nuovo saltare in aria”.

Non hai mai studiato musica e canto, eppure sei diventata una grande cantante…

Non ho mai nemmeno pianificato di diventare una cantante, ma ho avuto ottimi maestri e suppongo che la capacità di cantare fosse già presente in me. È una cosa che ho scoperto e ho coltivato. Ho imparato sin da ragazzina ascoltando i dischi: ore e ore di Sinatra, il suo fraseggio e la sua narrazione; Sarah Vaughan e la sua passione e il suo ricco vibrato, la tenerezza e la sincerità di Ella Fitzgerald, sia che cantasse uno swing o una ballata; la purezza di Chet Baker, il fuoco di Nina Simone, e tanti altri. Ho ascoltato tutti i grandi e ho cercato di emularli. Ho amato l’album ‘Sassy’ così tanto che all’inizio volevo essere Sarah Vaughan, salvo poi rendermi conto che, esistendo già una Sarah Vaughan, forse era meglio provare a essere me stessa e trovare la mia voce. Cosa che continuo a fare ancora oggi. Penso che una delle cose migliori che un cantante possa fare è ascoltare... allenare le proprie orecchie. Ho ascoltato anche tanti strumentisti.

In te c’è tanto jazz ma anche blues, soul, gospel. C’è un genere che preferisci? Oltre alla musica afroamericana ascolti altro?

Ho una predilezione per il jazz, ma ascolto di tutto. Opera, country, Patsy Cline, che è una delle mie cantanti preferite, pop, canti dei nativi americani, ritmi mediorientali, africana, bossa nova, easy listening, tutto. C’è sempre qualcosa da imparare.

Cosa serve per essere un buon artista jazz?

Più di ogni altra cosa, credo ci vogliano dedizione e un’incrollabile fiducia in sé stessi. Occorre ascoltare e riconoscere che, pur essendo solisti, si è parte di un gruppo. Quando ti sforzi di creare all’interno di questo spazio, accadono cose bellissime. È importante ascoltarsi a vicenda, lasciarsi alle spalle le sciocchezze guidate dall’ego, spingersi oltre il limite delle proprie capacità, provare cose nuove e diverse. Vivere fuori dagli schemi, imposti da sé o da altri.

Ci parli dei musicisti con cui suoni? Tu e Tony Match vi conoscete bene, è così?

Sì, negli ultimi dieci anni abbiamo spesso lavorato insieme. Tony si è occupato di scritturarci, di mettere insieme un gruppo di musicisti e la maggior parte dei nostri tour. Quando siamo in pausa, lavora con Fred Wesley e Martha High. Sergio di Gennaro, italiano, l’ho conosciuto tramite Tony. Ho avuto il piacere di registrare con lui il mio disco di Natale. È un pianista brillante e un caro amico. Alessandro Maiorino è il nostro bassista e l’ho conosciuto di recente. Il suo modo di suonare è incredibile per l’emozione che ci mette. Ha un grande talento e tiene a bada la linea di basso. Sono molto felice di lavorare con loro.

Avete già una scaletta per il concerto?

Di solito facciamo un mix di standard jazz e un po’ di blues. Ultimamente ho aggiunto alcuni brani più contemporanei, sarà un mix di brani noti e meno noti. Voglio che la gente viva la musica attraverso diverse angolazioni. Spesso ho una scaletta, ma i ragazzi ridono perché è soggetta a modifiche. Voglio che la gente venga e si diverta, che si ricordi che il jazz è anzitutto musica da ballo e che torni a casa con un dolce ricordo.