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Soletta, due gesti d'amore verso l'arte e il cinema

Due splendidi portrait alle Giornate cinematografiche, grazie al lavoro delle registe Julie Frund-Pozner e Lucienne Lanaz e a quello di Villi Hermann

Flavio Paolucci
21 gennaio 2024
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La 59esima edizione delle Giornate di Soletta sta andando verso la conclusione dopo aver proposto, come ogni anno, un ampio ventaglio di prodotti di qualità svizzeri, un’occasione per affacciarsi al panorama, omonimo della sezione principale, dei contenuti audiovisivi che vengono alla luce sul nostro territorio. A Soletta regna un’atmosfera festiva e gioviale: è nei sorrisi dei passanti che discutono di un film appena visto, o semplicemente passeggiano serenamente attraverso i ponti dell’Aare e nel centro storico, sotto il cielo terso e soleggiato del giorno, o scrutando i magnifici colori del tramonto, che irradiano l’orizzonte e contribuiscono a rendere i ciottolati delle vie ancora più magici da percorrere.

Comodamente seduti sulle poltrone del Kino Palace, del Canva Blue, oppure nelle enormi sale di Landhaus e Konzertsaal, adattate per l’occasione, gli spettatori vivono il festival tra risate e sospiri, con possibilità di visioni per tutti i gusti: documentari, fiction, cortometraggi, film d’animazione, videoclip e chi più ne ha più ne metta. Si può riflettere dei contenuti più politici, farsi sorprendere da quelli più artistici oppure optare per qualcosa di più leggero, nella pura spensieratezza dell’intrattenimento. Tra le tante e variegate proposte documentaristiche vi sono due portrait rappresentanti due artisti completamente differenti tra loro: Éliane Walther e il suo piccolo ma grande teatro fiabesco di marionette, nonché Flavio Paolucci, la cui arte pittorica e scultorea è conosciuta ed è motivo d’orgoglio per i ticinesi, rispettivamente osservati dall’occhio dalle registe Julie Frund-Pozner e Lucienne Lanaz, nel primo film, quindi dal consolidato cineasta Villi Hermann, nel secondo.

Le fiabe di Éliane

‘Le théâtre magique d’ Éliane’ sè contraddistinto dal magnetismo della protagonista, una signora tanto ilare quanto dedita al racconto di fiabe che, grazie ai bellissimi scenari e ai pupazzi che modifica o costruisce, riesce ad affascinare gli occhi scintillanti dei bambini, completamente rapiti dalla cura nel dettaglio delle miniature e dalla sua performance. Éliane interpreta tutti i personaggi che crea, modificando la propria voce e addirittura aggiungendo l’accento in base alla loro provenienza, contribuendo così alle loro sfaccettature e alla loro caratterizzazione. Per preparare una delle sue trasposizioni personali di fiabe, Éliane impiega circa due anni di appassionato lavoro, su e giù per le scale di casa, tra il giardino e l’atelier, sorretta dal marito e dai suoi quattro figli, tra cui il tenero Matthieu, portatore di handicap dalla nascita e il cui bisogno di cure non ha impedito alla madre, col tempo, di realizzarsi personalmente e creativamente.

Il teatro di Éliane è pura e genuina dimostrazione di capacità manuale, d’immaginazione e destrezza nel barcamenarsi tra le lingue senza generare confusione, anzi, rendendo ancora più peculiare e riconoscibile il suo stile: il piccolo topo campagnolo Victorin, con il suo accento tedesco, ama una topolina bianca con un singolare difetto logopedico, ma viene ostacolato dalla Baba Jaga, la tipica strega cattiva della tradizione russa, e il risultato non può che andare a favore della prima. Nell’ottica della positività e dell’aspetto didattico, i personaggi di Éliane hanno certo sogni, ambizioni, difetti e difficoltà da affrontare, ma riescono a raggiungere sempre il loro obiettivo, ispirare i bambini e mettersi al loro livello, in un teatro che è sia fisicamente sia narrativamente all’altezza dei piccoli osservatori, che si dimostrano molto interessati anche a storia finita, volenterosi di approfondire la dolce magia cui hanno appena assistito.

Ritratto semplice ma sincero e autentico, con una messa in scena non sbalorditiva ma secondaria rispetto alla dolcezza della protagonista, ‘Le théâtre magique d’ Éliane’ diventa anche un traguardo notevole per Julie Frund-Pozner, alla sua opera prima, e ancor più per Lucienne Lanaz, che con i suoi cinquant'anni di esperienza dietro alla cinepresa s'inserisce tra i nostri veterani del cinema, dichiarando: “Il cinema è la mia malattia, la mia ossessione, ma in senso buono. Con questa passione non si può o non si vorrebbe smettere mai”.


‘Le théâtre magique d’ Éliane’

Nell'intimità di Flavio Paolucci

Molto diverso, invece, è l’approccio intrapreso da Villi Hermann nel suo ‘Flavio Paolucci. Da Guelmim a Biasca’, che rispetta la modernità con cui il suo protagonista concepisce l’arte, partendo dalla natura tutt’intorno alla propria dimora, a Biasca, dove la magia del bosco e dell’architettura circostante ispira il suo straordinario lavoro scultoreo. Flavio Paolucci, che quest’anno compirà novant’anni, crea un vero e proprio paradosso nella sua magnifica traduzione dell’antico, o arcaico come la natura stessa, attraverso un’estetica assai moderna e aggraziata, ricercata in un lungo percorso, passando anche per materiali come gli spray, sempre nella gaia solitudine e nel silenzio del suo atelier.

Oltre che dal Ticino, Paolucci è stato influenzato anche da un soggiorno nel Maghreb marocchino, che gli ha impresso quell’assenza di montagne che genera un orizzonte fatto di una lingua di terra, sopra la quale si estende l’infinito cielo colorato. Anche se preferisce lavorare solo e non visto, nemmeno dalla troupe (un potenziale elemento di disturbo del processo creativo), Paolucci, impossibilitato dal Covid a raggiungere il museo tedesco in cui esponeva, può dunque mostrare la propria opera d’arte attraverso questo documentario, unico testimone del suo allestimento, dalla creazione fino al suo smantellamento: “Credo che Villi abbia catturato la mia arte in maniera corretta”, ha felicemente affermato Paolucci. Dal canto suo, Hermann ha dichiarato, assieme al sound designer Zeno Gabaglio: “Per fare un film su un artista ci vuole tempo, pazienza, disponibilità, orecchie e occhi per ascoltarne il silenzio: l’immagine è immediata, mentre il suono è nascosto, non volevamo rubare musica dei paesi arabi bensì far sentire la nostra cultura. Intervenire rumorosamente in quello spazio così bello e silenzioso ci sembrava invasivo, una violazione, volevamo rispecchiare la quiete dello spirito di quel bosco che vive e che plasma il lavoro di Flavio”.

Nelle sale ticinesi, il film approderà il 31 gennaio, annunciandosi come un ritratto imperdibile, fresco nella sua esposizione, permeato da un senso di raffinata pacatezza e di amore nei confronti dell’arte e del cinema.


Villi Hermann, a Locarno nel 2011