laR+ LA RECENSIONE

Il lato oscuro della Finlandia felice

In ‘Fallen Leaves’ di Aki Kaurismäki la dignitosa determinazione dei meno fortunati a riscattarsi nonostante tutto

Gli attori Alma Pöysti e Jussi Vatanen
(Malla Hukkanen)
20 dicembre 2023
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Con cadenza implacabile, non passa mese senza che istituti di sondaggi o ricercatori universitari guadagnino qualche riga sui giornali classificando i Paesi più felici al mondo. Il primato spetta quasi sempre alla Finlandia, in particolare per la qualità dei servizi e dell’istruzione, per la ricchezza media e le aspettative di vita. Ma anche nel felicissimo Paese dei laghi sorgono quartieri dove il sole del buon Dio non dà i suoi raggi: il cinema di Aki Kaurismäki racconta, facendo serenamente a meno dei toni da comizio e della fastidiosa pedagogia di altri registi ‘impegnati’, la dignitosa e inesorabile determinazione (i finlandesi la chiamano ‘sisu’) con cui i meno fortunati, sorretti dall’amore della gente comune, possono reagire alle difficoltà, alla tristezza, al senso di vuoto. La storia è ambientata a Kallio, un quartiere operaio di Helsinki dove nessuno sorride.

Le serate si consumano in squallidi bar, ascoltando canzoni tristi al karaoke: immobili, gli sguardi fissi nel vuoto, avventori ridotti a complementi d’arredo, che sembrano soli anche quando sono insieme, si scambiano tra loro poche parole, tentano approcci timidi e catastrofici, si annullano nell’alcol. Damnés de la terre con impieghi provvisori e retribuiti in nero, senza tutele né prospettive, tra sadiche guardie in uniforme che si divertono a umiliarli e padroni meschini e crudeli. Holappa è un operaio che non riesce a stare lontano dalla bottiglia, vizio che gli fa perdere ogni lavoro che trova.

Nel degrado dei rapporti umani

A raccogliere i lapidari resoconti delle sue sventure, un cinico e disilluso seduttore da quattro soldi, a quanto pare il suo unico amico: la stringatezza e la desolante mancanza di calore dei loro dialoghi, che arrivano peraltro a strappare qualche sorriso allo spettatore, è l’aspetto più impressionante del degrado dei rapporti umani, in cui si inabissano queste vittime del benessere altrui, che faticano a legare il pranzo con la cena e non sempre trovano un posto sicuro in cui trascorrere la notte. Anche Ansa, la protagonista femminile, proviene dai silenzi di quelli che hanno dovuto mettersi da parte e ha coltivato la riservatezza degli sconfitti. Quando perde il lavoro al supermercato, dopo essere stata sorpresa a regalare a un povero del cibo scaduto e a prenderne un po’ anche per sé, non abbassa gli occhi davanti allo spietato manager che le comunica il licenziamento né lo supplica di ripensarci.

Sola al mondo, le tocca arrangiarsi col poco che ha, tenendo a bada una cupa e inascoltata disperazione. Ansa ha incontrato Holappa in un bar: i due si sono scambiati rapide occhiate esitanti, senza dirsi nulla: è stato il loro modo, impacciato e un po’ infantile, di flirtare. Quando si ritrovano, vanno al cinema, dove proiettano ‘The Dead Don’t Die’ di Jim Jarmusch, che con Kaurismäki condivide la scelta di trattenere le emozioni al di qua dello schermo, l’approccio sornione e in più quella molla sobriamente comica che si insinua obliquamente anche nel baratro del peggiore disagio, sempre pronta a scattare tra lunghe pause e osservazioni amabilmente taglienti.

Come in una fiaba

Al termine della proiezione si ripromettono di incontrarsi di nuovo, salutandosi con una goffa stretta di mano. Lei gli ha scritto il numero di telefono su un foglio di carta che lui, sbadatamente, perde. E così, secondo la classica convenzione della narrativa romantica, i due innamorati rimangono separati. Lei crederà di averlo perso per sempre. Quando casualmente si ritroveranno, la dipendenza dall’alcol di lui rischierà di mandare a monte definitivamente il rapporto: Ansa ha già vissuto situazioni simili con suo padre e suo fratello, con tragiche conseguenze che non vuole rivivere. A quel punto, preferisce prendere con sé un cane abbandonato, salvandolo dall’abbattimento.

Sarà un evento che non anticipiamo a condurre in porto una storia che per certi versi appare senza tempo, ma che in realtà si svolge ai nostri giorni, come dimostra il frequente controcanto della radio che trasmette notiziari sul conflitto in Ucraina, sebbene nel bar in cui Ansa va a lavorare come lavapiatti dopo il licenziamento sia curiosamente appeso un calendario del 2024, quasi a sottolineare una dimensione sottilmente fiabesca. E, come in ogni favola, c’è anche una morale: prenderci cura gli uni degli altri ci rende più forti di fronte alle avversità. E questo, per fortuna, non dipende dall’anno sul calendario e neanche dalle statistiche dei sondaggisti.